I dubbi su uno sfaldamento istituzionale italiano diventano sempre più consistenti. A volte sembra di assistere a una di quelle antiche “guerre feudali”, quando sul “trono non c’era l’imperatore”, oppure quando i “grandi elettori” non trovavano un accordo sulla successione. In sostanza per la verità, sembra che manchi persino un punto di riferimento, non allarghiamoci a parlare di certezza del diritto. Sarebbe quasi esagerato. La certezza del diritto, non la solita “litania” della certezza della pena, sta anche e soprattutto nelle procedure, nel modo corretto, bisognerebbe dire scrupoloso, di svolgere indagini e allestire i processi davanti al cosiddetto giudice naturale.
Eppure tutti possono assistere, quasi increduli, a quella che ormai viene chiamata “la guerra” all’interno della procura di Milano, una cittadella giudiziaria che in questi ultimi venti anni di cosiddetta seconda repubblica ha avuto una funzione determinante anche su tutta la situazione politica italiana. Il quotidiano la Repubblica ha scritto nei giorni scorsi che, sostanzialmente, è in corso una operazione di delegittimazione della procura di Milano: “Un ufficio che è storicamente un avamposto della legalità, capace comunque con tutti i suoi limiti, di illuminare la ‘zona grigia’ in cui i poteri pubblici e privati si confondono, spartendosi tangenti e appalti”.
La domanda che quindi ci si deve porre è chi ha intenzione di destabilizzare questa procura. Quali sarebbero le forze occulte o palesi che si muovono per una destabilizzazione del Palazzo di Giustizia milanese? Se qualcuno ha segnali o sospetti fondati lo dica, altrimenti la sensazione che si avrebbe, sarebbe proprio quella di una poco piacevole “lotta tra le toghe” che richiamano appunto quella le antiche “guerre feudali”.
Una risposta appare davvero difficile. E la sensazione che da questa spettacolare rottura all’interno della procura milanese ricava il cittadino è quella di una giustizia divisa al suo interno e alla fine, inevitabilmente, carente di credibilità. Della questione si stanno occupando il Consiglio superiore della magistratura, e anche la procura generale della Corte di Cassazione.
Volano accuse vicendevoli di “falso” tra il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, e il procuratore aggiunto Alfredo Robredo su una serie di inchieste che toccavano a questo o a quell’altro procuratore. E’ piuttosto problematico entrare nel merito della vicenda, comprendere chi abbia ragione, ma lo spettacolo a cui si assiste non appare dei più edificanti. E c’è pure chi aggiunge che sullo sfondo bisognerebbe dare uno sguardo alla prossima elezione del Csm e alla “battaglia” elettorale tra le varie correnti dei magistrati.
Qui si pone un’altra domanda che spesso incombe su tante questioni italiane: ma in quale sistema giudiziario del mondo civile e democratico avviene un fatto del genere o si menziona solamente un confronto elettorale tra magistrati?
E’ legittimo chiedersi che su una simile questione venga presa una decisione? A quanto si dice, nel Csm, c’è chi propende per una archiviazione del caso e chi invece per una ispezione della procura milanese. La si può vedere in qualsiasi modo, ma su un punto, dopo un simile scontro che ha riempito le pagine dei giornali e ha scatenato un simile putiferio, c’è da ritenere che una riforma del sistema giudiziario nel suo complesso sia ormai un fatto che non si può assolutamente più rinviare.
In quello che abbiamo chiamato il dubbio di una sfaldamento del sistema istituzionale italiano, si è aggiunta in questi giorni un commento della Corte di Cassazione contro la Corte Costituzionale. Dalla Cassazione è infatti arrivata una bordata alla Consulta. Nell’assoluzione dei vertici del Sismi, Niccolò Pollari e Marco Mancini, sul caso Abu Omar, la Cassazione sostiene che abbassando il “nero sipario” del segreto di Stato, esteso a dismisura sul Sismi, la Consulta ha abbattuto in radice ogni possibile controllo della magistratura sul potere di segretazione consegnandolo alla discrezionalità della politica. “Obtorto collo” e solo per “lealtà istituzionale” la Cassazione ha preso atto della “dirompente” e “dilacerante” decisione della Consulta che ha messo al riparo dalle condanne gli uomini dei servizi coinvolti nel rapimento di Abu Omar. “Inaspettatamente” la Consulta ha tracciato “quell’ampio perimetro” di immunità. Una presa di posizione che è quasi una “ciliegina sulla torta” delle traballanti e conflittuali istituzioni di questa Italia.