Ieri mattina si sono celebrati, presso la parrocchia di Monterosso a Bergamo, i funerali di Piermario Morosini, il calciatore del Livorno tragicamente scomparso a seguito del malore accusato nel corso di Pescara-Livorno. Tantissime persone hanno voluto dare l’ultimo saluto a Piermario: cittadini di Bergamo, e calciatori delle squadre in cui aveva militato, e non solo. Nelle parole del parroco, che lo ha cresciuto all’oratorio, è emerso il profilo di un ragazzo semplice, umile e sempre disponibile, che sudava giocando con i ragazzini, con cui tornava a tirare due calci al pallone appena ne avesse la possibilità. Tanti i tifosi delle sue ex squadre, che hanno portato sciarpe e magliette, hanno acceso fumogeni per salutare Piermario. Abbiamo chiesto a Eugenio Perico, allenatore delle giovanili dell’Atalanta, che era presente alla cerimonia, un commento sulla mattinata, su quello che l’ha colpito e quello che rimane dopo la grande ondata emotiva suscitata dai fatti. Ecco allora il racconto di Perico, nell’intervista esclusiva rilasciata a ilsussidiario.net.
Mister, ci può dire cosa l’ha più colpita di stamattina?
Innanzitutto, c’erano pochissimi posti in chiesa e una richiesta enorme per assistere ai funerali, da parte di squadre, compagni, esponenti del mondo del calcio. Io, come moltissimi, sono rimasto fuori a guardare dal maxischermo, e intanto vedevo la scalinata che portava alla chiesa.
C’era tantissima gente…
Sì, mi ha colpito questo. Tantissima gente, tantissimi sportivi, compagni di squadra che ai tempi del settore giovanile dell’Atalanta venivano da diverse regioni, e stamattina c’erano quasi tutti: ci ha fatto tanto piacere rivederli. Non erano in gita, erano qui per un saluto al loro ex compagno.
Molto bello, in effetti, e non scontato.
Esattamente. Ed è uno dei tantissimi segni che la morte di Piermario ha lasciato. Ci siamo sentiti tutti, in qualche modo, coinvolti in questa vicenda, in quanto è venuto fuori che pur non essendo un giocatore di primissimo piano, ma avendo sempre fatto il suo dovere in maniera accurata, ed essendo sempre stato una persona un po’ speciale, anche se mai sulle cronache, pur in tutto questo dicevo, è venuto fuori che tutti quelli che l’hanno conosciuto hanno mostrato una grandissima verità: che era davvero una persona speciale.
In che modo, se possiamo chiedere?
Quando l’abbiamo accompagnato verso il professionismo, l’abbiamo provato tutti, e anche quelli che l’hanno conosciuto dopo: è un modello e un esempio, come ha ricordato anche il parroco. Ha sottolineato il fatto che questo ragazzo così semplice e umile, ma speciale, è un modello per tutti quelli che aspirano a diventare dei “campioni”; lui, che era già un campione, era ancora una persona che quando poteva tornava sempre all’oratorio a giocare con i ragazzini. E’ come nella parabola evangelica: “Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli” (Matteo 18, 4, ndr). E’ un’ulteriore misura della sua personalità.
Un modello, quindi, per tutti.
Sì, per tutti quelli che vogliano intraprendere un’attività importante. Penso ai bambini, che hanno questo sogno: a loro è stato dimostrato che si può essere giocatori e sporivi affermati ma avere ancora l’animo di giocare con i bambini.
Quindi, al di là dell’ondata emotiva, concretamente cosa resta?
Restano per esempio delle manifestazioni non scontate, come il minuto di silenzio in Spagna. Restano i tifosi di Atalanta e Brescia, che stamattina erano lì insieme a salutare Piermario: ha presente la rivalità che c’è? Non ricordo di averli mai visti così. Ecco, io penso che se i tifosi potessero dialogare di più, tifare “per” e non “contro”… insomma, bisogna trarre fuori le tante cose positive, come il fatto che il calcio italiano si sia fermato, dai campionati più importanti fino ai ragazzini.
Già, i ragazzini: un esempio soprattutto per loro, che iniziano adesso a giocare…
Sì, e io penso che questa vicenda possa e debba insegnare che vanno bene la competitività e l’agonismo, che vanno sempre ricercati, ma ci devono sempre essere la correttezza, la franchezza e la consapevolezza che si affronta un avversario che ha fatto le nostre stesse cose per essere preparato alla partita ed è quindi meritevole di rispetto. Questo può essere il là per una visione meno carica per il calcio, e la ricerca di un insieme di comportamenti che rendano il calcio meno esasperato e un pochino più umano.
E’ davvero possibile che si arrivi a questo? Certo è auspicabile…
Io penso che la vicenda di Piermario abbia portato un rinsavimento che avrà il suo peso e ci aiuterà a proporre a questi ragazzi il modello di comportamento migliore, anche perchè dietro ogni giocatore c’è un persona, che non deve quindi avere preclusioni e deve riuscire a esprimere le proprie qualità senza furbizia e malizia. Piermario quindi ci ha insegnato, e dobbiamo prenderne esempio, a cercare il bello di questo sport.
(Claudio Franceschini)