Roma. I distributori automatici di alcol, sigarette, prodotti hard, “gratta e vinci” e videopoker si stanno facendo sempre più numerosi in una città in cui, per garantire una maggiore sicurezza e un minor numero di incidenti, risse e sbronze moleste, sono state prorogate fino al 16 dicembre le ordinanze antialcol, antivetro e quella sullo “sballo” nelle zone con maggiore movida notturna, in cui è vietato vendere e consumare alcolici tra le 23 e le 6 della mattino. Eppure qualsiasi ragazzino può in tutta tranquillità procacciarsi una birra e un film hard, magari mentre tenta la fortuna a una macchinetta del videopoker senza essere controllato in alcun modo. Certo, per poter entrare nelle aree dove vengono collocati i distributori automatici è necessaria la tessera sanitaria o quella del codice fiscale per dimostrare la maggiore età, ma quanto è difficile per un giovane d’oggi farsi aiutare da qualcuno che abbia già l’età giusta? Circa un mese fa, alcuni di questi distributori sono stati chiusi in via Avezzana, nel quartiere Prati, a due passi dalla abitazione di Massimo D’Alema: gli otto residenti che avevano inviato la petizione al Municipio XVII alla fine hanno vinto e i vigili hanno notificato l’ordine di cessazione attività. Il motivo ufficiale spiega che la zona Prati-Delle Vittorie è «città storica» e pertanto è ritenuta «incompatibile» con questo tipo di negozio. Tutto è nato dalla battaglia cominciata da otto residenti di via Avezzana e via Nicotera che avevano inviato una lettera al Municipio in cui ricordavano che, in base alla delibera comunale 36/2006, non si può accettare la dichiarazione di inizio attività per sexy shop ricadenti nei quartieri della «città storica». Il Municipio ha sposato questa linea, e ora i sei imprenditori della società «3Esse 2011», proprietari del distributore, sono esterrefatti: «La casta ci ha fatto chiudere per paura del sesso. Il nostro non è un sexy shop. È un distributore erotico classificato come videoteca hard. Faremo ricorso». IlSussidiario.net ha chiesto un parere a Mario Pollo, Professore di Pedagogia Generale e Sociale della Facoltà di Scienze della Formazione della Lumsa di Roma: «E’ in atto un fenomeno generale che riguarda l’economia, in cui ormai si tende a trasformare le generazioni più giovani in consumatrici in età sempre più precoce. Una caratteristica che anche molti studiosi di economia hanno rilevato è che l’attuale mercato, per poter mantenere i suoi ritmi di sviluppo, ha bisogno di coinvolgere sempre di più target giovanili che consumano direttamente e non più attraverso la mediazione dei genitori o dei familiari, diventando così oggetto diretto dell’attività di marketing. E’ chiaro che purtroppo, essendo quello della distribuzione degli articoli hard, ma anche delle bevande alcoliche, un mercato di consumo, credo si applichi la stessa regola dove non c’è più nessuna remora morale, in cui si usa il celebre detto “business is business”, secondo cui gli affari non guardano in faccia a nessuno e prescindono da ogni considerazione morale. Rispetto a questo c’è spesso anche una sorta di giustificazione, cioè il fatto che oggi, come hanno già denunciato tempo fa alcuni studiosi, è scomparsa l’infanzia a causa dei media elettronici che hanno rotto quel “recinto” che proteggeva i bambini dal contatto con gli aspetti più deleteri del mondo adulto. Quindi ora i bambini, a causa soprattutto della televisione, fin da piccoli entrano in contatto con tutte quelle realtà del mondo da cui un tempo erano ritenuti lontani e protetti.
L’infanzia sta scomparendo e i bambini sono precocemente maturi e svezzati da quelle che sono le asperità della vita, e oggi non è infatti facile trovare un bambino che parli o che si vesta come un bambino, e questo ha portato a una precocità nei comportamenti sessuali, trasgressivi e a volte addirittura di devianza. Giocando su questa precocità, quindi, anche questo tipo di mercato può trovare nelle fasce dei ragazzi più giovani un target in grado di rispondere. A questo punto è chiaro che, anche se c’è questo fenomeno di scomparsa dell’infanzia, non si può lasciare che avvenga senza fare niente, ma occorre cercare delle difese sociali per riuscire a preservare ancora alcune caratteristiche del mondo minorile: credo che siano necessarie delle leggi e delle norme più stringenti che impediscano questi fenomeni, altrimenti si rischia che il bambino diventi svezzato agli aspetti più crudi della vita senza avere la maturità umana per affrontarli, innescando così dei processi distruttivi. Cosa possono fare i genitori? Possono solo cercare di educarli a uno stile di vita, a dei valori e dei modelli che di fatto siano incompatibili con questo tipo di consumi, ma purtroppo oggi la possibilità di agire è limitata perché oramai i genitori hanno un’influenza solo su una piccola porzione della vita dei figli. Inoltre la vita dei ragazzi avviene al di fuori dell’influenza diretta dei genitori, in una società complessa in cui, se un genitore in casa propone certi valori e modelli, non è detto che questi siano poi presenti anche fuori le mura di casa. Per cui il ragazzo, quando esce di casa e frequenta altri ambienti, entra in contatto con delle realtà che possono essere molto diverse da quelle familiari; c’è inoltre un modello culturale dominante che porta a costruirsi un’identità multipla, sfaccettata, che permette di essere in un certo modo in un luogo e in un altro modo in un diverso contesto, con il solo scopo di cercare di cogliere il meglio in ciò che una determinata situazione può offrire. Questo rende quindi molto più difficile l’azione dei genitori, ed è per questo è necessario che il progetto educativo trovi nella scuola, nel commercio e in tutte le aree della vita sociale un’alleanza in grado di sostenere ciò che i genitori propongono».
(Claudio Perlini)