Nel cremonese sorge un’azienda che da oltre settant’anni lavora il legno producendo pannelli compensati e truciolari di pioppo. Ma la Invernizzi Spa, come tutti, sta facendo i conti con la durezza di una crisi che non sembra per nulla superata. Sebbene il mercato inizi a dare segnali di tenue ripresa, ciò che desta le maggiori preoccupazioni sono i mancati pagamenti delle commesse. Un problema serio che da luglio ha iniziato a montare con decisione. Giuseppe Invernizzi, titolare dell’attività che con lui e con la sorella è alla quarta generazione, ci racconta come l’azienda è cambiata negli anni per adattarsi ai cambiamenti e quali sono le sfide che ora l’attendono.
Su quali mercati opera la Invernizzi Spa?
In Italia vendiamo principalmente a magazzini e rivenditori, all’estero soprattutto a utilizzatori finali. I mercati esteri che seguiamo con maggiore attenzione sono la Francia, l’Olanda, la Germania e il Portogallo e gli Stati Uniti.
Con sua sorella siete alla quarta generazione alla guida di questa azienda. Qual è la sua storia?
Siamo da settantacinque anni sul mercato. All’inizio come segheria, ma ora il core business dell’azienda sono i pannelli di compensato di pioppo e, dal 1973, anche i pannelli di truciolare, che fabbrichiamo con gli scarti del compensato.
Quale materia prima utilizzate?
Al 100 per cento pioppo. I pannelli di compensato sono composti da sfogliati di pioppo disposti a fibratura incrociata e usiamo resine termoindurenti a bassissima emissione di formaldeide. Sono pannelli molto apprezzati perché leggeri, bianchi, facilmente lavorabili e sicuramente ecocompatibili. Inoltre, i nostri prodotti sono certificati PEFC o FSC, a garanzia della provenienza legale della materia prima, e della corretta gestione forestale. Di conseguenza, anche il truciolare che produciamo è esclusivamente di pioppo.
Quali sono gli impieghi principali dei vostri pannelli?
Vendendo soprattutto a magazzini e rivenditori è difficile stabilire quale sia l’impiego finale prevalente, anche se sappiamo che i nostri pannelli sono utilizzati soprattutto nella costruzione di mobili da arredamento, per allestimenti fieristici e nei lavori di falegnameria.
La situazione di crisi che stiamo attraversando come ha inciso sulla vostra attività?
Il truciolare sta vivendo un periodo di forte crisi: c’è poca richiesta e spesso il prodotto italiano viene sostituito da prodotti esteri, come i truciolari prodotti con materiale resinoso, che costano meno. Il nostro invece è truciolare di qualità, non è riciclato, e pertanto il prezzo è abbastanza elevato.
Vi aspettavate una tale inversione di rotta?
Sinceramente no. È un fenomeno un po’ controcorrente perché, mentre fino a qualche anno fa c’erano molti produttori di truciolare bianco, adesso siamo rimasti davvero in pochissimi, hanno chiuso importanti realtà. Noi pensavamo che questo potesse dare un po’ di spinta al mercato di questo prodotto, che invece è rimasto fermo. Il truciolare non va e questo ci preoccupa molto.
Stessa situazione per il mercato del compensato?
Per il compensato il discorso è diverso. Ha chiuso un competitor importante, che riversava la sua produzione esclusivamente sull’Italia, e un altro ha ridotto la produzione. Questa improvvisa mancanza di parecchi metri cubi di compensato ha alleggerito la pressione sul mercato.
E quali sono i vantaggi?
Stiamo provando a tarare i prezzi su livelli più congrui: fino a qualche tempo fa i prezzi erano arrivati a livelli troppo bassi e preoccupanti. Però, a mio avviso, dobbiamo aspettare ancora qualche mese per capire come si stabilizzerà il mercato.
Quanti sono i produttori di compensato di pioppo in Italia?
Siamo rimasti meno di una decina. Il comparto produce circa 300-330 mila metri cubi all’anno, di questi 50 mila escono dal nostro stabilimento.
Quanti siete in azienda?
Siamo 155, di cui 135 nel reparto “compensato”.
Paolo Fantoni, presidente di Assopannelli, in un’intervista proprio su queste pagine, ha affermato che il pioppo è da riscoprire. È della stessa opinione?
Mi trova d’accordissimo, perché il pioppo è conosciuto solo dagli addetti ai lavori. Questa è anche una nostra responsabilità. Forse in passato siamo stati troppo concentrati sulla produzione e sulle vendite e non abbiamo mai pensato a valorizzare i molteplici punti di forza del nostro prodotto e della nostra materia prima. Negli ultimi vent’anni da 140 mila ettari di pioppeti ne sono rimasti solo 60/70 mila: i pioppicultori hanno piantato poco perché i contributi sono stati scarsi. E i contributi sono mancati anche perché, come filiera, non siamo stati capaci di valorizzare un prodotto che ha invece dei notevoli punti di forza, soprattutto dal punto di vista ambientale.
Quindi cosa bisogna fare?
Un po’ più di pressione nelle commissioni, nelle Regioni, nelle stanze dove si prendono le decisioni che contano, come hanno fatto i produttori di biomasse, che in questo sono stati molto bravi.
Dove vi approvvigionate?
Compriamo pioppi nella zona di Pavia, Lodi, nella Lomellina, nel basso Mantovano e qualcosa anche dall’estero, in particolare Francia e Ungheria.
Cosa ne pensa del fermo biologico di 24 mesi?
Fermo restando che è necessario che il terreno si riposi, penso che 24 mesi di fermo obbligatorio, per avere i contributi, siano eccessivi. È una regola calata dall’alto, da Bruxelles, che fa perdere un anno secco di produzione.
E degli incentivi alle biomasse?
Ripeto, chi le ha promosse è stato veramente in gamba. Anche se poi si sono rivelate fallimentari. Hanno venduto bene il loro prodotto, rubando parecchi terreni ai pioppeti.
Come vede il 2013?
Per capire come andrà il nostro mercato bisogna aspettare ancora qualche mese, adesso il problema vero sono i pagamenti nel mercato domestico. Oggi, in Italia, c’è una grandissima difficoltà a incassare perché non ci sono soldi e questo mette in difficoltà tutti. Noi incassiamo in media a 60/90 giorni, ma se fino a giugno la percentuale di insoluti è sempre stata dell’1,5-2% del fatturato, da inizio luglio è salita al 10%.
(Matteo Rigamonti)