Il ventisette ottobre di cinquant’anni fa moriva Enrico Mattei, il presidente dell’Eni vittima di un attentato del quale a mezzo secolo di distanza non si conosce ancora la verità. Al di là di questo epilogo tragico, la vicenda di Mattei ritengo sia comunque emblematica anche per l’Italia di oggi. E non solo perché il Paese sarebbe più povero senza l’Eni, che è peraltro il primo gruppo industriale italiano e, nel settore petrolifero, il sesto a livello mondiale. Vorrei soprattutto soffermarmi su due aspetti che mi paiono utili per il presente.
Finita la guerra a Mattei fu dato l’incarico di liquidare l’Agip che era considerata poco più di una scatola vuota ereditata dal fascismo. Il momento era drammatico. Il Paese duramente piegato dal conflitto stava provando a rimettersi in piedi. Le risorse erano scarse e insufficienti. Mattei, unico, contrastato dentro e fuori dai confini nazionali, intuì che lì c’era una possibilità che altri non vedevano, un grande potenziale nascosto. E così non si rassegnò a eseguire l’ordine che gli era stato dato, ma, partendo da quanto c’era, guardò oltre. Cogliendo l’importanza che avrebbe avuto l’energia per lo sviluppo dell’Italia futura riuscì a trasformare in risorsa quello che era ritenuto un rudere da demolire. Valorizzò il know how, che non mancava, e gettò le basi per quello che qualche anno dopo sarebbe diventato l’Ente nazionale idrocarburi, oggi un player di primaria importanza nello scenario economico nazionale e internazionale. Forse non sempre c’è chiara consapevolezza di quanto questo sia stato strategico, e ancora lo sia, per un Paese naturalmente povero di materie prime.
In questo momento comunque di fronte alla crisi le condizioni non sono molto diverse. Lasciando perdere le amenità dei patetici e folcloristici fautori della decrescita, quel che forse spesso scarseggia è proprio la capacità di una visione più grande dove un problema apparentemente insormontabile possa diventare un’opportunità. Non so se a mancare siano uomini lungimiranti o se la cappa di apatia generale sia tale da scoraggiare ogni positivo protagonismo, magari di sognatori destabilizzanti, ma leali conoscitori dello spirito umano che non si accontentano di gestire qualche comoda rendita di posizione contribuendo anche alla costruzione del futuro per le nuove generazioni.
Le cronache raccontano che una volta scoperto il gas nelle campagne della pianura emiliana, Mattei si pose subito il problema di come farlo arrivare alle grandi industrie e ai maggiori centri del Nord che a fatica stavano riprendendosi dopo le distruzioni della guerra. Così di notte, in poche settimane, in tempi record adesso impensabili, squadre di tecnici e di operai posarono i metanodotti, primi tratti di quella rete che adesso ha raggiunto le case di milioni di italiani.
Mi chiedo se oggi i mille intralci della burocrazia, la contraddittorietà delle normative, l’incapacità di governo della politica, l’abnorme dilatazione dei processi decisionali col proliferare di tavoli e comitati, consentirebbero ancora a Mattei di fare ciò che ha fatto. Purtroppo temo di no. Probabilmente basterebbero pochi chilometri di metanodotto per innescare contestazioni e aprire contenziosi infiniti tali da bloccare tutto.
Certo il mondo si è fatto più complesso rispetto a sessant’anni fa, ma non rassegnarsi alla paralisi può diventare l’inizio di una speranza per tutti.