A Milano, nei primi cinque mesi dell’anno, sono state registrate quasi 60 mila nuove assunzioni a tempo indeterminato, vale a dire 10 assunti per ogni licenziato uscito dal mercato del lavoro. Un dato che a una prima occhiata fa pensare a una città che nonostante la crisi sta reagendo e alzando la testa, ma non è proprio così. A fronte di questi ingressi, infatti, l’analisi effettuata dalla Cgil ha rilevato che circa 6 mila persone, nello stesso periodo, hanno perso il posto per motivi economici e si sono iscritte alle liste di mobilità. A smorzare gli entusiasmi è Onorio Rosati, segretario della Camera del Lavoro di Milano: «In realtà il segnale è molto contraddittorio – spiega a IlSussidiario.net -. Se guardiamo i dati di Milano, utilizzando come indicatori gli ammortizzatori sociali, vediamo che i primi mesi di quest’anno sono esattamente sovrapponibili ai primi mesi del 2010, come se la crisi si fosse sostanzialmente stabilizzata nei suoi effetti, compresi quindi quelli negativi dal punto di vista occupazionale».
Qual è invece l’elemento di novità?
Certamente il dato che evidenzia le nuove 60 mila assunzioni a tempo indeterminato nei primi cinque mesi di quest’anno. E’ però una cifra che stride molto con le quasi 6.500 persone che nello stesso periodo si sono iscritte nelle liste di mobilità e che quindi hanno perso il posto di lavoro. La domanda da porsi è questa: come mai, se vengono generate importanti opportunità di lavoro, queste persone non riescono a trovare occupazione?
Quali sono le principali cause?
Da una prima valutazione si era semplicemente pensato che in alcuni settori fosse più facile perdere il lavoro, a fronte di altri che invece generano nuove opportunità. In realtà la situazione è diversa.
Si spieghi meglio.
Per fare un esempio, il settore metalmeccanico è quello in cui si sta licenziando di più ma è anche lo stesso in cui stanno avvenendo le maggiori assunzioni. Quindi molto probabilmente alcune aziende stanno assumendo persone più giovani, mentre altre stanno licenziando persone più anziane. Questo è ovviamente un problema perché, se fino a poco tempo fa si poteva dire che le nuove opportunità di lavoro sarebbero venute in soccorso di questa fetta di mercato, da questi dati emerge invece che anche in presenza di nuove opportunità le persone che sono al di sopra dei 50-55 anni non riescono a rientrare nel mercato. Credo sia quindi necessario riflettere su questo tema in termini di politiche attive per l’impiego.
Quali soluzioni si possono pensare?
In tempi in cui si sta discutendo di togliere incentivi alle imprese, sarebbe invece molto più utile agire sulla reimpiegabilità, soprattutto dei lavoratori delle classi di età più elevate. Questo perché, con l’innalzamento dell’età pensionabile, una persona di 55 anni si trova di fronte a un potenziale orizzonte lavorativo di 10-12 anni. In sostanza, una persona che è più avanti con l’età e che viene messa alla porta è consapevole che, indipendentemente dal fatto che il Paese possa o meno uscire dalla crisi, le opportunità di lavoro non verranno comunque mai a cercarlo.
Che impatto avrà secondo lei la riforma del mercato del lavoro?
Da sempre diciamo che la riforma del lavoro in sé non genera nuovo lavoro ma è comunque in grado di ridistribuire, in modo più o meno efficace, il lavoro che c’è. E’ però necessario fare delle considerazioni: pensiamo per esempio all’assunzione a tempo indeterminato, adesso considerata come il rapporto di lavoro più importante. E’ un pensiero che condividiamo, ma purtroppo i dati ci dicono che progressivamente questo tipo di assunzioni tende a ridursi. Dall’altro lato, paradossalmente, mentre la legge cerca di disincentivare il tempo determinato, questo nello stesso periodo è cresciuto.
Cosa può dirci riguardo l’apprendistato?
E’ senza dubbio un altro elemento significativo. Sulla carta il governo vuole fortemente incentivarlo affinché possa diventare la vera porta di accesso per i più giovani nel mercato del lavoro, ma il dato che abbiamo rilevato su Milano e provincia è che oggi si entra nel mercato del lavoro in questo modo solo nell’1, 5% dei casi.
Questo cosa significa?
Significa che tutta la pluralità delle forme di lavoro oggi esistenti, dal punto di vista dei lavori parasubordinati, per le imprese sono talmente più convenienti rispetto all’apprendistato che si preferisce assumere utilizzando altre tipologie. Sarà quindi necessario incentivare economicamente questa forma di accesso nel mercato del lavoro per renderla effettivamente competitiva e conveniente per le imprese.
Parliamo infine di ammortizzatori sociali…
La legge si muove verso l’abrogazione dell’articolo 3 della legge 223, vale a dire quello che prevede che i lavoratori di aziende che si trovano in fallimento, amministrazione straordinaria o liquidazione coatta possano beneficiare della cassa integrazione straordinaria. La legge spiega infatti che dal primo gennaio 2016 questo non sarà più possibile. Abbiamo fatto quindi un ragionamento a posteriori arrivando alla conclusione che, se il provvedimento fosse introdotto oggi, perderemmo più di 2.000 persone solo a Milano. Questo per dire che, all’interno di una crisi come questa, pensare di eliminare gli ammortizzatori sociali senza una efficace idea sostitutiva può davvero portare ad aumentare, invece che a ridurre, il trauma sociale provocato dalla crisi.
(Claudio Perlini)