Se ancora vi chiedevate in che modo si sarebbero mossi i Cleveland Cavaliers prima della trade deadline di febbraio nella NBA, la risposta è arrivata tutta in una volta in un tardo pomeriggio italiano (ora di pranzo in Ohio): alla Quicken Loans Arena è rivoluzione totale, una squadra rinnovata da capo a fondo, squassata anche nelle sue fondamenta e rifatta a nuovo. C’è la mano di LeBron James? E’ la volontà del proprietario Dan Gilbert? Nota a margine, ma nemmeno troppo: si vocifera che il patron dei Cavs sia ai ferri corti con il Re, al punto di non voler aver più a che fare con lui. Del rapporto tra i due si potrebbe scrivere un libro intero, quel che conta è il presente: riassumendo – ed è già difficile così – Cleveland nello spazio di pochi minuti ha salutato Jae Crowder e Channing Frye, Iman Shumpert, Derrick Rose e una prima scelta (non quella ricevuta dai Brooklyn Nets, che sarà alta, ma la loro che al momento si attesterebbe a fine primo giro). Il problema, almeno a vederla senza aver saggiato le prove del campo, è che tra i nomi dei partenti figurano anche certi Dwyane Wade e – sì, state per leggere bene – Isaiah Thomas. L’uomo più discusso dell’estate ha vissuto sei mesi da incubo: da eroe del TD Banknorth a pedina di scambio per arrivare a Kyrie Irving, fino a rimanere ai box per mesi per un problema all’anca, entrare tra gli applausi e uscire tra i fischi, additato a colpa di tutti i mali di una squadra che non riusciva più a vincere. IT vola – insieme a Frye e quella prima scelta – ai Los Angeles Lakers: non una franchigia qualunque, nè per l’immensa storia nè per il particolare momento.
LA TRADE PER CLEVELAND
A corredo, va detto che Cleveland riceve dai gialloviola Jordan Clarkson e Larry Nance jr, ma nello scambio che ha coinvolto anche Sacramento e Utah ottiene Rodney Hood e George Hill. Un back up nuovo: a oggi lo starting five prevederebbe Hill, Hood (o JR Smith, più probabilmente), LeBron James, Nance fino al rientro di Kevin Love e Tristan Thompson. A guardarla così, qualche dubbio viene: se è vero che i Cavs avevano comunque la necessità di muovere qualcosa, non si capisce il perchè di una rivoluzione da capo a piedi, soprattutto dando l’addio a Wade – uno che con James ha giocato quattro finali vincendone due – in cambio di una banale seconda scelta, soprattutto rinunciando subito a verificare gli effetti di Thomas nei playoff. Isaiah meriterebbe un capitolo a parte: non è un mistero che in Ohio non ci volesse andare, ma da qui a diventare un rinnegato in casa ce ne corre. Le indiscrezioni dicono che non abbia legato, non si sia integrato, fosse un pesce fuor d’acqua; pure, resta un giocatore che lo scorso anno ha avuto 23,3 punti, 6,7 assist e il 33,3% dall’arco nei playoff, ed è stato il leader di una squadra prima nella Eastern Conference, non certo una realtà da tanking sfrenato.
E allora, perchè? Forse nella pancia della Quicken Loans Arena era chiaro quello che noi potevamo solo ipotizzare, ovvero che il gruppo fosse ai minimi storici in termini di rapporto e sopportazione; non c’è altra spiegazione, perchè allo stato tecnico di qualche ora fa si era più o meno convinti che una volta iniziata la post season i favoriti per le Finals sarebbero stati ancora loro. Di fatto Cleveland perde due giocatori in grado di fare la differenza nei playoff – perchè l’hanno già dimostrato – e capaci di essere secondo e terzo violino per il Re; e acquisiscono un playmaker di esperienza come George Hill – che potrebbe certo fare comodo – ma anche tre giocatori (Clarkson, Nance e Hood) che sono sì in crescita ma hanno anche tanti limiti, primo tra tutti – vale per i due ex Lakers – quello di aver visto i playoff solo in televisione. Prende corpo allora l’ipotesi pazza, ma da tenere in considerazione: che davvero Gilbert, vista l’impossibilità (o la non volontà) di trattenere James per il prossimo anno, abbia deciso adesso di smantellare, forzando mano e procedura? Pensarla a giovedì 8 febbraio con dei playoff da giocare e un titolo da vincere appare quantomeno difficile; a meno che, appunto, le cose non stessero andando a fondo più di quanto si potesse immaginare.
LA TRADE PER I LAKERS
Anche vista dallo Staples Center questa trade ha dei punti di domanda. L’idea di fondo è che Thomas e Frye sono in scadenza di contratto: vero che i Lakers hanno fatto capire che la free agency su cui andare all in sarà quella del 2019 (Kawhi Leonard e Klay Thompson i nomi principali), ma a leggere i vari commenti da fonti autorevoli si evince che il piano di Magic Johnson sia quello di scaricare i contrattoni dei due ex Cavs. Con un asterisco da metterci necessariamente di fianco: perchè si sta parlando di un lungo che sa correre e tirare da fuori che potrebbe star bene nel gioco di Luke Walton, e di un altro giocatore che – come detto prima – ha un passato recente che può realmente farne il leader di un gruppo giovane, in crescita e con un progetto che pare ben avviato, che ha in Brandon Ingram e Kyle Kuzma, già miglioratissimi oggi, i volti del futuro. Come dire: non dovesse esserci la possibilità di prendere un All Star dal mercato libero, alla peggio si ripartirà da IT e nel frattempo si proverà ad andare ai playoff già oggi (ma i Lakers, che pure sono 11-4 nell’ultimo mese, hanno sei partite di ritardo dall’ottavo posto a Ovest). Scenario plausibile, soprattutto considerando che resta questo finale di regular season per testare il nuovo gruppo; eppure – secondo asterisco – che ne sarà di Lonzo Ball?
Los Angeles ha puntato tutto o quasi sul rookie da UCLA, affidandogli le chiavi della squadra (al punto di cedere D’Angelo Russell, la seconda scelta assoluta del 2015) e ricevendone prestazioni di personalità e caratteristiche futuribilissime, al netto di cifre buone ma non buonissime. Al momento il playmaker è fuori per infortunio: quando tornerà, quale sarà la convivenza con Thomas? Viene da dire: Ball da point guard e l’altro da guardia. Già, ma “l’altro” è un giocatore che vuole palla tra le mani (rendendo decisamente di più quando è lui che può creare dal palleggio) e che non può giocare da 2 a lungo (soprattutto in difesa) per evidenti limiti legati alla struttura fisica; mandarlo in panchina appare un azzardo, ancor di più far partire dal pino Lonzo che, per di più, si trascina un padre le cui “sparate” sono colorite e divertenti ma, a volte (spesso), anche destabilizzanti (per esempio ha pubblicamente dichiarato che i giocatori non seguono coach Walton, o ha criticato apertamente la scelta di far uscire il figlio in un certa partita). Comunque lo si giri, questo scambio porta con sè più dubbi che certezze: vero che le trade NBA hanno una valutazione nel lungo periodo, ma qui siamo nel pieno della stagione…