Roma. A dare la notizia è Andrea Catarci, presidente del Municipio Roma XI: «Proprio nel mezzo della bufera scatenata dal decreto Monti, che di fatto azzera le esperienze territoriali comprese quelle degli Enti municipali romani, il Consiglio del Municipio Roma XI ha approvato la delibera per l’istituzione del Registro delle Unioni Civili, con il voto favorevole di Sel, Pd e Idv». Lo stesso Catarci definisce questo atto «doppiamente rilevante nell’azione di allargamento delle libertà personali e per i diritti di tutti, di concreto riconoscimento nell’ambito territoriale e di stimolo ad un Parlamento nazionale che è stato incapace di prendere iniziative sul tema delle coppie non tradizionali, come già fatto da anni in Francia, Olanda, Svezia e da tante altre parti». Guardando alle trasformazioni morfologiche nell’ambito delle famiglie, continua Catarci, «le Unioni civili nel 2009 sono diventate 897.000 e rappresentano il 5,9% del totale. Erano 533.000 nel 2003 e 343.000 nel 1998. Crescono all’interno delle nuove forme familiari, con i single non vedovi, i monogenitori non vedovi e le famiglie ricostituite coniugate, per un totale di 6.866.000 nuclei definibili atipici, non tradizionali, fuori dal vincolo del matrimonio, in cui vivono 12 milioni di persone. Si tratta del 20% della popolazione, un dato quasi raddoppiato rispetto al 1998». Quindi, conclude il minisindaco, «dal Municipio Roma XI si e’ dato prova una volta di più di quanto siano utili ed insostituibili gli Enti di prossimità e si è fornito un motivo in più per riflettere al governo Monti, su quali istituzioni sarebbe bene mantenere e potenziare e su quali, al contrario, si potrebbero ridurre nel numero e nei privilegi, per la distanza dalle necessità e dalla vita quotidiana delle persone». Durissima la risposta di Gianluigi De Palo, assessore alla Famiglia, all’Educazione e ai Giovani di Roma Capitale, secondo cui questa approvazione «di un’iniziativa del tutto priva di utilità sociale e di efficacia giuridica, oltre che un’opportunità di visibilità è uno schiaffo alla Carta Costituzionale. Questo atto mi fa porre tre interrogativi: chi sono i consiglieri che hanno votato a favore? Qual è, su questo tema, la posizione dei consiglieri cattolici all’interno dell’assise municipale? Ma, soprattutto: come si pone un rappresentante istituzionale di fronte al dovere di tutelare e valorizzare i principi sanciti dai Padri Costituenti con gli articoli 29, 30 e 31 della nostra Carta Fondamentale?». De Palo tiene anche a ribadire che «in un periodo di forte crisi, in cui è necessario puntare sulle questioni urgenti e davvero utili per la città e il Paese, bisognerebbe tutti insieme operare perché, piuttosto, sia la famiglia riconosciuta dalla Costituzione ad avere finalmente il posto e l’attenzione che merita e che le sono attribuiti sulla carta nella nostra città e nel nostro Paese. E’ questa la priorità per il Paese reale, non le battaglie ideologiche. Le esigenze delle mamme e dei papà di Roma sono altre e non rispondono a doveri di partito ormai anacronistici e privi di un serio radicamento nel territorio cittadino. La famiglia è un impegno laico che va difeso e non affossato, tantomeno dalle Istituzioni locali, che sono di fatto le più prossime ai nuclei familiari della nostra città. Il Bene Comune non si costruisce puntando a distruggere quanto di buono ancora resta nella nostra società per 5 minuti di visibilità, ma difendendolo e sostenendolo con azioni e provvedimenti concreti, che garantiscano un futuro ai nostri figli». Secondo Alberto Gambino, Professore ordinario di Diritto Privato e di Diritto Civile nell’Università Europea di Roma, interpellato da IlSussidiario.net, «la validità di un Registro delle Unioni Civili è quantomeno dubbia, perché nel nostro Ordinamento, come è noto, le unioni civili non sono riconosciute e soprattutto sono materie che attengono all’Ordinamento civile dello Stato. Non vi è dunque alcuna competenza da parte degli enti locali, i comuni e tantomeno i municipi di Roma, che sono una suddivisione territoriale con scarsi poteri con riferimento alle vecchie circoscrizioni cittadine. E’ del tutto escluso dal punto di vista giuridico che dei registri che disciplinano o comunque catalogano le cosiddette unioni civili possano avere efficacia nel nostro ordinamento: si tratta di provvedimenti di tipo ideologico, che portano avanti idee e battaglie legate a partiti e movimenti.
Le reazioni dei partiti inoltre lasciano il tempo che trovano: vorrei ricordare che alcuni anni fa proprio il governo Prodi tentò di legiferare su questa materia con i cosiddetti Dico, e il fatto che alla fine il governò non riuscì nel suo intento è un’ulteriore dimostrazione che i municipi non hanno nessuna possibilità di disciplinare questo tema. Dietro questo atto vedo quindi solo motivi ideologici, ma facendo molta attenzione: poiché questi registri non hanno una validità nel nostro ordinamento, c’è anche un problema di spese, di costi della politica e, in questo caso, delle stesse ideologie. Come è noto, istituire dei registri significa finanziare la loro attuazione, attraverso una spesa legata ai funzionari e ai protocolli che devono occuparsi di questi registri. Bisogna quindi fare attenzione perché le amministrazioni devono invece seguire criteri di efficienza, efficacia e trasparenza, e ritengo che ci siano quindi dei problemi riguardo un uso corretto delle risorse dell’erario. Probabilmente la stessa Corte dei Conti potrebbe valutare se davvero gli amministratori cittadini, in questo caso del municipio XI, stanno usando virtuosamente i soldi dei nostri cittadini, perché nel momento in cui si portano avanti provvedimenti quantomeno di dubbia efficacia sorgono dei grandi punti interrogativi». Riguardo le affermazioni dell’assessore De Palo, il professor Gambino afferma che «non c’è dubbio che la nostra Carta Costituzionale non preveda accanto all’articolo 29 altre forme che possano entrare in concorrenza con la famiglia legittima, quindi le cosiddette unioni civili non possono dar vita a nuovi modelli familiari, perché sarebbe contrario alla stessa Carta Costituzionale. Diverso sarebbe invece se si ragionasse in termini di diritti individuali delle persone: infatti, laddove ci siano individui che abbiano dei bisogni di tipo assistenziale o solidaristico, può essere ritenuto corretto che all’interno di una convivenza abituale nella stessa abitazione ci siano degli oneri anche a carico degli altri coabitanti, ma questo non riguarda di certo l’introduzione di nuovi modelli familiari».
(Claudio Perlini)