“La ripresa c’è, ma restano dubbi sulla sua intensità”.È quanto afferma l’ufficio studi di Confcommercio nelle Note economiche in vista dell’assemblea annuale tenutasi ieri a Milano. Per l’associazione dei commercianti, a maggio sono emersi nuovi elementi di incertezza rilevati dai due cali consecutivi del clima di fiducia di imprese e famiglie. Confcommercio sottolinea che è “difficile non attribuire questi cali al contesto interno, caratterizzato, nonostante tutti gli sforzi del governo, da qualche difficoltà sul versante dei conti pubblici”. Una lettura in parte diversa da quella compiuta qualche giorno fa dal Centro studi di Confindustria, secondo cui “è indispensabile cogliere l’opportunità di innalzare il potenziale di crescita del Paese offerta da fattori molto favorevoli. L’incremento del Pil nel primo trimestre è stato più alto delle stime del CsC e rende possibile raggiungere nel 2015-16 risultati superiori alle previsioni prevalenti”. Ne abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Da dove nascono le due letture diverse da parte di Confindustria e Confcommercio?
In queste due letture differenti gioca in parte la diversa composizione societaria. Confindustria comprende anche molte grandi aziende esportatrici e guarda alla ripresa dando anche un peso all’export. Per Confcommercio invece la priorità è la domanda interna, proprio perché si basa di più sulla vendita al dettaglio. Ed è naturale che da parte dei commercianti ci siano degli elementi di preoccupazione in più.
Tenuto conto anche di questi due punti di vista differenti, chi ha ragione?
Difficile rispondere. Non basta infatti prendere in considerazione solo il dato sul Pil, ma quest’ultimo va letto insieme all’incremento dei posti di lavoro. D’altra parte per valutare se la dinamica occupazionale è veramente positiva, bisogna mettere assieme i dati di più mesi e non di un mese soltanto. È da questo che si capisce se la tendenza a una ripresa dell’occupazione sia o meno permanente. Bisognerà quindi attendere qualche mese per capire se abbia ragione Confindustria o Confcommercio.
Lei quali tendenze vede in atto in questo momento?
Quello che è certo è che i fattori internazionali quali petrolio, euro e quantitative easing operano ancora in direzione positiva. È presto però per dire se il trend positivo continuerà. Siccome all’inizio la ripresa economica è composta da una fase in cui non c’è creazione di posti di lavoro, bisognerà vedere anche da questo punto di vista se sarà così oppure no. La speranza è che non sia così, perché con gli ultimi dati Istat abbiamo assistito a una buona dinamica del lavoro.
Per Confcommercio le difficoltà sul “versante dei conti pubblici” caratterizzano negativamente il “contesto interno”. Lei che cosa ne pensa?
Il problema dei conti pubblici non è un elemento che influenzi in modo diretto la ripresa economica, ma lo è indirettamente in quanto incide sulla possibilità di abbassare o aumentare le tasse e di conseguenza sulla domanda interna. La situazione dei conti pubblici inoltre è piuttosto buona. La dinamica dell’inflazione non è più negativa, ma ci sono aspettative sul fatto che torni a essere positiva. Ciò sicuramente contribuirà a ridurre l’onere del debito. I tassi sono molto bassi grazie al quantitative easing. Questo insieme di fattori bilancerà il problema dell’aggravio pensionistico dal punto di vista dei conti pubblici.
Resta aperta l’incognita delle clausole di salvaguardia. Quali effetti possono avere?
Nel momento in cui stiamo facendo uno sforzo enorme andando oltre le regole per salvare la situazione greca, non credo proprio che l’Ue si dimostrerà esageratamente pignola nei confronti di un Paese come l’Italia che si sta comportando in modo molto virtuoso per quanto riguarda i conti pubblici.
Dopo avere dato a Yoram Gutgeld l’incarico sulla spending review non se ne è saputo più niente. Perché è ancora tutto fermo?
Ridurre la spesa è un’operazione complessa, anche perché alla fine il grosso di ciò che è rimasto della spesa pubblica è costituito da stipendi, ma i dipendenti pubblici sono difficilmente licenziabili. Bisogna inoltre valutare quanto sia opportuno intervenire in alcuni frangenti. Non sempre si tratta di spese inutili, spesso è “carne viva” di sanità e istruzione, per esempio mancano i soldi per rifare i tetti delle scuole. L’evoluzione dei sistemi sanitari pone sfide drammatiche come la possibilità di aumentare l’aspettativa di vita delle persone con farmaci che però sono molto costosi.
(Pietro Vernizzi)