La produzione industriale nell’Eurozona ad aprile è cresciuta dello 0,8% su base annua, sotto le previsioni di un +1,1%. Rispetto a marzo, l’incremento è stato dello 0,1%, contro una stima dello 0,4%. In questo quadro le cose non vanno meglio in Italia, dove la produzione industriale è diminuita dello 0,3% tra marzo e aprile 2015, dello 0,1% confrontando i primi quattro mesi dell’anno con lo stesso periodo del 2014, mentre è aumentata dello 0,5% tra il trimestre novembre-gennaio e quello febbraio-aprile. Secondo l’Istat, nel confronto marzo-aprile tengono beni intermedi e strumentali (+0,1%), mentre i beni di consumo calano dell’1,2%. Tra aprile 2014 e aprile 2015 i beni strumentali registrano invece un +3% netto, mentre i beni intermedi si riducono dell’1,7% e quelli di consumo dell’1,2%. Abbiamo chiesto un’analisi a Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università di Parma.
Come legge il dato Istat di aprile?
Il dato di aprile è complessivamente negativo rispetto a quanto era successo in marzo. I dati congiunturali si possono confrontare di mese in mese perché sono destagionalizzati, anche se i dati mensili sono soggetti a variabilità che in molti casi sono frutto di effetti di misurazione. Il trimestre febbraio-aprile 2015 invece è stato positivo rispetto al trimestre precedente, ma sostanzialmente vicino a zero se si opera il confronto con lo stesso trimestre dell’anno prima.
Come valuta complessivamente l’andamento della produzione industriale?
La produzione imita in peggio il dato sul Pil. L’economia sta completando l’aggiustamento, in quanto fino al quarto trimestre 2014 i numeri erano ancora moderatamente negativi. Nel primo trimestre 2015 abbuiamo avuto un dato che su base annua è vicino allo zero e con un modesto incremento rispetto al trimestre precedente. Di fatto i dati sulla produzione industriale nel primo trimestre andavano in una direzione sostanzialmente simile. Il dato di aprile documenta però che siamo ancora in una fase in cui possiamo aspettarci dei segni meno e dei segni più in alternanza.
Potremo contare solo su crescite dello “zero virgola”?
Non possiamo stupirci del fatto che la produzione industriale fatichi a ripartire ai ritmi del passato. Quello che continua a mancare è l’incentivo a localizzare la produzione in Italia. Le condizioni di competitività delle aziende italiane continuano a essere inferiori rispetto al passato in quanto nodi strutturali irrisolti come la burocrazia, l’elevato onere di tassazione, la difficoltà nel fare impresa e nell’aumentarne le dimensioni sono ancora tutti lì.
Quali sono le priorità nell’ottica di sbloccare questa situazione?
Al primo posto c’è la riforma della PA. I dipendenti pubblici non si possono licenziare, ma si potrebbero spostare. Il decreto legge dell’agosto 2014 prevede che un’amministrazione dello Stato in caso di necessità possa andare a pescare da altre amministrazioni con dei lavoratori in eccesso, il tutto dentro a un raggio di 50 chilometri. Non sarebbe però un trasferimento volontario, bensì a partire dalle esigenze della PA. Questo è un passo importante, senza cambiare le norme sulla licenziabilità nel pubblico impiego e senza applicare il Jobs Act al settore pubblico.
E’ necessaria anche una riforma fiscale?
Sì. Occorre una semplificazione rispetto alla giungla di adempimenti che esiste in questo momento, e che in definitiva incoraggia l’evasione. Per farlo bisogna intervenire sulle “tax expenditures”, cioè sul sistema di deduzioni e detrazioni che potrebbero essere ridotte di numero. Si può introdurre un onere fiscale che sia comprensibile da parte della maggioranza dei cittadini secondo criteri orizzontali, cioè simili tra categorie, anziché continuare con il sistema del passato, basato sull’individuazione di categorie ritenute meritevoli di uno sconto.
La pressione fiscale va abbattuta?
Va naturalmente ridotto il livello della tassazione, ma perché ciò avvenga è indispensabile proseguire con la spending review. Bisogna fare dei risparmi più consistenti dal lato della spesa pubblica, altrimenti le riduzioni d’imposta rischiano di essere pregiudicate dall’emergere di deficit più elevati e di conti pubblici che peggiorano.
(Pietro Vernizzi)