Per noi che siamo diventati grandi a pane, nutella e telefilm, che abbiamo immaginato mondi lontani con Orzowei e che abbiamo sognato il mitico Arthur Fonzarelli e Inspiration point e Pinky Tuscadero e Ricky e tutti gli altri amici di Happy days; che abbiamo riso e ci siamo divertiti con Arnold e i Jefferson; che ci siamo svagati con lA-Team e Mc Gyver; che abbiamo seguito con passione le indagini di Fox Mulder e Dana Scully negli X Files; che abbiamo combattuto con leroico Jack Bauer di 24, o che abbiamo seguito le vicende di Ciccio e del dottor Ross, dellinfermiera Hateway e del dottor Carter in medici in prima linea; che ci siamo tormentati sulla terribile domanda Chi ha ucciso Laura Palmer in Twin Peaks; per tutti noi è dura da accettare.
Intendo che è difficile accogliere pacificamente lipotesi emersa da una recente ricerca del Ce. R.T.A. dellUniversità Cattolica di Milano presentata la scorsa settimana al Telefilm Festival di Milano. La tesi fondamentale è che, a partire dalla stagione 2007/2008, a fronte di una sostanziale stabilità nellutilizzo nei palinsesti della generalista, ci siano alcuni segnali di crisi del prodotto telefilm.
Fra tutti, un decremento del dato medio di ascolto, una progressiva concentrazione sul genere crime e, infine, una certa difficoltà ad affermare titoli nuovi, dopo le stagioni doro di CSI, di Ncis, di Greys anatomy e di House. Anzi, che più che di crisi si possa e si debba parlare di una vera propria fine della golden age della serialità americana.
Ma le cose stanno veramente e pacificamente così? Sono naturalmente molto solide e fondate le ipotesi presentate dalla ricerca, ma, ugualmente, proviamo a considerarle un punto di partenza per toccare anche altri punti e proporre ulteriori osservazioni.
Le peculiarità dei telefilm
Il prodotto seriale è per eccellenza ciclico, nel senso che non è vero che ogni anno, in una ipotetica età delloro, sono spuntati prodotti eccezionali per qualità o per ascolto; ma, piuttosto, a periodi di grande ricchezza ne sono sempre seguiti altri meno felici. Su Italia1, fra Beverly Hills e X files sono passati circa 4 anni, e fra questultimo e CSI altri 6. Su Rai2 fra ER e uno dei nuovi fenomeni, Ncis, sono passati circa 10 anni. E molti altri esempi potrebbero esser fatti. Nihil novi sub sole, insomma.
E questa caratteristica ciclicità non vale solo per i telefilm ma per tutti i generi televisivi. Un solo ulteriore esempio, le telenovelas: fra gli ascolti eccezionali di Manuela e Cuore selvaggio che allinizio degli anni 90 facevano oltre 4 milioni di spettatori su Rete4 e il grande successo di Tempesta damore sulla stessa rete sono passati quasi 20 anni
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I dati di ascolto e il mondo cambiato (rischio di anacronismo)
I dati attuali dei telefilm vanno letti con attenzione alla luce del particolare (e nuovo) contesto competitivo: aumento delle piattaforme di distribuzione dei contenuti; incremento del numero di canali (multichannel) e dell’offerta complessiva; un conseguente cambiamento significativo degli equilibri di ascolto: aumentano gli attori, si erodono le quote di mercato dei grandi e si manifesta una certa qual tendenza alla polverizzazione del resto; infine, l’espansione del mondo pay, che porta con sé l’introduzione del tema delle finestre di programmazione: cioè, oggi, un prodotto prima di arrivare alla free television (quella normale che ognuno può vedere sul proprio televisore senza pagare nulla) è patrimonio esclusivo per un certo periodo di tempo delle reti pay che li utilizzano per prime in abbondanza, facendoli arrivare quanto meno più consumati alla televisione free.
Sono cambiati gli equilibri fra le reti dunque; si poteva pretendere che nulla cambiasse per il genere seriale? E, comunque, anche oggi il genere telefilm realizza sia su Rai2 che su Italia1 medie di ascolto o superiori a quella di rete o più stabili e certe nel tempo di quelle di altri generi televisivi.
La qualità dei telefilm
Sono prodotti di qualità i telefilm: gioiellini, macchine da racconto sofisticate che sono in grado di intercettare umori e inquietudini e stati d’animo e domande e contraddizioni e perfino concezioni del mondo. “Non catturano la realtà, sono la spia dell’inconscio che cova sotto il susseguirsi degli eventi quotidiani. In questo senso anticipano le fobie, gli umori, le speranze del pubblico a cui sono rivolti” (Carlo Freccero, Link, aprile 2007).
Sono prodotti che hanno la “capacità di sondare con disincantata onestà le contraddizioni dell’oggi” (Armando Fumagalli-Paolo Braga, Link, aprile 2007). E infatti i prodotti che “contengono” temi stimolanti sono parecchi. Solo per citarne qualcuno:
Dottor House: è un medical? È un thriller? È un giallo? E, poi, spostandosi di piano, questo telefilm non è forse anche un trattatello sul motivo per cui vale la pena stare al mondo e sul senso/non senso del dolore? Sul rapporto fra la realtà e un sovrannaturale che continuamente si nega ma indirettamente si evoca?
Lost, pieno com’è di domande “altre”: chi siamo, dove andiamo e da dove veniamo? Qual è la consistenza della realtà?
24, che ci racconta con il suo tipico stile adrenalinico della difficile ricerca del giusto equilibrio fra il rispetto dei diritti individuali e la salvaguardia dell’interesse collettivo in un’epoca di paure collettive
CSI e Mentalist, due tipici crime che ci mettono davanti agli occhi due opposti concetti di ragione. Il primo che valorizza la scienza come unico modo di rapporto con la realtà e che riduce la ragione a misura del reale; il secondo che ribalta la prospettiva, che dice che c’è un “fattore umano” ancora più profondamente in grado di capire alcuni fenomeni del reale e che fa della ragione il punto di partenza ma non quello conclusivo del rapporto con essa
Flashforward, l’ultimo gioiellino di casa Disney, non ci introduce in qualche modo, anzi, in modo assolutamente diretto, al grande tema del rapporto fra libertà e predestinazione?
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La fidelizzazione
Ancora, per la televisione generalista il telefilm è un po’ come un romanzo di appendice: un mezzo per sostenere nel tempo, con costanza, gli ascolti. Fondamentale, quindi.
John Wells, Jerry Bruckheimer e JJ Abrams come Carolina Invernizio? Non proprio, ma sicuramente sono dei maghi del racconto e dell’invenzione, capaci di costruire sofisticati congegni narrativi, che riescono a far affezionare i propri spettatori e a convincerli a tornare a guardare i propri prodotti di settimana in settimana.
La controprova empirica
Al di là di ogni ragionamento, poi, esiste anche una considerazione quantitativa: sulla generalista il numero di serate a telefilm resta costante; sulla pay, il telefilm non solo continua ad alimentare i canali della piattaforma Sky, ma ha cominciato a riempire anche quelli Mediaset Premium.
E, inoltre, proprio in questo modo, iniziano ad arrivare sui nostri schermi anche telefilm sempre più raffinati, che mai avrebbero trovato posto sulla tv generalista. Prodotti nuovi, racconti nuovi, invenzioni sempre più audaci: in una parola una “grammatica” diversa che man mano abitua lo spettatore a chiedere sempre di più e di meglio
Conclusioni
Certo, ci sono dei segnali di allarme, ma il lasso temporale preso in esame è troppo esiguo per un giudizio così definitivo. E, poi, questi segnali, a oggi, sono deboli e forse contingenti. Stiamo ragionando sull’onda concomitante di una serie di fenomeni, in parte passeggeri e in parte strutturali, che rischiano di alterare la visione d’insieme:
Crisi finanziaria che ha implicato una minor disponibilità di capitali da impegnare, meno prodotti, meno investimenti e meno economie di apprendimento;
Sciopero degli sceneggiatori americani nel 2008, che ha di fatto quasi paralizzato la produzione della più grande fabbrica di seriale del mondo, Hollywood. Giusto per dare una cifra, rispetto agli abituali circa 110 piloti presentati sul mercato, quell’anno ne è arrivata poco più della metà, una sessantina. E ripartire costa tempo, soldi e fatica;
Fase bassa del ciclo della creatività. È un bene raro la creatività, non prevedibile e non gestibile con esattezza geometrica.
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E, anche andando più sullo specifico del prodotto, si nota qualche elemento debole: tendenza al remake (90210, Melrose, V, Eastwick, Terimator, Bionic); valorizzazione del franchise (i vari CSI, tre a oggi; il nuovo Law & order Los Angeles annunciato per la prossima stagione e che andrà ad accompagnarsi a tutti i fratellini già spinoffati dall’originale) come elemento di riduzione del rischio, con la conseguenza che si contraggono gli spazi per il prodotto nuovo; uso di volti noti, anche del cinema, per dare valore a prodotti altrimenti poco appetibili (in questo senso è quasi da manuale la parabola di un attore del calibro di Cristian Slater)
Però, il telefilm resta un genere vivo e vivace, un territorio televisivo ad alta e notevole intensità sperimentale e capace di innovare e sorprendere. Forse, a essere finita è un’altra cosa, che potremmo definire premium age: età degli ascolti astronomici e del forte legame fra il prodotto e la rete che lo emetteva. C’era, nella stragrande maggioranza dei casi, un rapporto stabile e duraturo fra la rete di emissione e il seriale che diventava così un rilevante elemento di connotazione anche dell’identità della rete.
Oggi lo stesso prodotto si trova su piattaforme diverse, spesso anche negli stessi slot temporali. E la perdita dell’esclusività è pesante. Forse, questo è il vero tratto problematico con cui si deve confrontare chi di televisione free generalista si deve occupare. In un conteso sempre più complicato e spezzettato viene meno un importante elemento di brandizzazione. L’anglismo è terribile, ma, nondimeno, l’effetto di dare tratti identitari forti a un palinsesto e a una rete oggi è una preoccupazione fondamentale, pena la sparizione dall’“agenda” degli spettatori.
Abbiamo conosciuto tante golden age del telefilm; aspettiamo con ansia la prossima. Magari, già quest’anno durante l’imminente presentazione della prossima stagione televisiva americana.
PS: Naturalmente non siamo diventati grandi solo a pane, nutella e telefilm; ma anche e soprattutto, con una famiglia bella e robusta, tanti amici e perfino qualche prete “per chiacchierar”. Per fortuna.