Ma che colore ha una giornata uggiosa cantava nel febbraio 1980 Lucio Battisti. La sua era una domanda senza risposta, perché a quei tempi le estati erano calde, soleggiate e senza piogge, tuttal più oscurate ogni tanto da qualche temporale, tanto breve quanto refrigerante. Oggi invece? Lo stesso Lucio intonerebbe probabilmente Ma che riflessi ha una giornata radiosa: ce ne siamo quasi dimenticati, visto che lestate ci sta riservando solo nubifragi, acquazzoni, trombe daria. Un clima che ha messo in ginocchio numerose industrie legate al turismo made in Italy.
Innanzitutto, i coltivatori di angurie. Non avendo potuto vendere che una minima parte della vasta produzione nazionale delle succulente cucurbitacee, hanno dovuto trascorrere unestate drammaticamente oziosa, aspettando i clienti come tanti (e rari) Godot, sicchè oggi si ritrovano non solo le angurie sul gozzo (e vi assicuriamo, non è affatto una sensazione divertente, soprattutto quando vanno deglutite), ma anche due balle così, grosse e pesanti appunto – come cocomeri.
Altra categoria duramente provata dai “rigori” dell’estate, i produttori di ventilatori a soffitto. Al management della Vortice, leader indiscussa di settore, a furia di vedere le loro scorte di magazzino intatte, pale e pale incelophanate e perció costrette a una malaugurante immobilità, son talmente girate le pale da decidere repentinamente di cambiare nome allazienda: si chiamerà Tùrbine, a imperitura memoria della “vorticosa” dinamica degli “zebedei” di questa storica (in senso negativo, ovviamente) annata.
Ma le vere vittime di quest’estate autunnale sono stati senza dubbio alcuno i gelatai, che hanno subìto la più raggelante gelata di consumi di gelati che la storia del gelato (freddi numeri alla mano) ricordi. Pochissimi affari, quasi zero, anzi (visto il settore) sottozero: pare addirittura che non si riescano a vendere le parigine neppure ai francesi. Ma i gelatai, abituati a ragionare a freddo, non si sono arresi. In occasione della fase finale del World Gelato Tour, in programma a Rimini dal 5 settembre, hanno ostinatamente organizzato una serie di incontri, workshop e convegni per cercare di uscire dal cono (dombra) in cui loro malgrado si sono ritrovati. Ne hanno escogitate davvero per tutti i gusti (di idee, non di gelati). Qualche anticipazione? Si va da Il Coni può dare una mano ai nostri coni, una raccolta di firme per far sì che venga accolta la proposta di adottare il gelato al puffo come sponsor unico di tutte le Nazionali azzurre, al briefing (proposto su iniziativa del Casinò di Campione) avente come tema: Puntare forte su cioccolato-nocciola-crema-stracciatella: per rilanciare il gelato artigianale italiano caliamo sul tavolo un poker dassiderati; fino al seminario, proposto in collaborazione con la Società Italiana di Trapiantologia, A leccare la panna ci vuole un cuore tenero, a leccare il pistacchio al gorgonzola ci vuole del gran fegato?.
Insomma, i gelatai italiani scommettono forte su nuovi gusti e nuovi mercati. Eh sì, perché all’estero la vendita di gelati è andata sicuramente meglio. Soprattutto nei Paesi del Golfo. In Arabia Saudita, per esempio, è stata siglata una joint venture con la principale catena di negozi che vendono gelati sfusi: la Hammedài Nalekkatàh. A Riad e dintorni, infatti, il gelato si fonde in un nanosecondo, neanche il tempo di arrivare al palato. Per questo i sauditi finora lo hanno snobbato. Ma ora gli affari vanno a gonfie vele, merito di un’azienda italiana, la Sanson (un marchio con una forza vendita davvero straordinaria), che ha brevettato un cono, denominato “Conifera”, in grado di garantire alle palline di gelato un rigoglioso e verdeggiante riparo dal sole e dalla calura, quindi una maggiore durata.
Nello Yemen, invece, l’arrivo dei gelati italiani ha scatenato un vero putiferio. Lunghe file in attesa di ricevere la propria coppetta. Addirittura nella capitale Sana’a, in più di un’occasione, al momento della chiusura del principale chiosco della città, molti clienti hanno preso a male parole lo sfortunato gestore, minacciandolo: “Sono ore che siamo in coda sotto il sole: o il gelato, o te yemeniamo”.
In Qatar, infine, il successo si è subito trasformato in trionfo assoluto. Dopo soli due giorni, a causa dell’eccessiva richiesta, le celle frigorifere di tutto l’emirato sono risultate completamente vuote: a tutt’oggi riuscire a raqatar una sola pallina di gelato, o anche un semplice mottarello, è impresa da gelare il sangue.
Ora la riscossa del gelato deve avvenire anche nel nostro Paese. Come? Sperimentando nuovi gusti, nuove qualità, nuovi abbinamenti di sapori, tenendo conto che – in base a un sondaggio – il 97% degli appassionati desidererebbe che il tempo di consumo di un singolo gelato, stimato in circa sette minuti, venisse prolungato sensibilmente. Una tendenza che hanno cercato di assecondare a Carrara, segnatamente alla gelateria “Michelangelo fai Pietà”. Proprio qui si è deciso di testare “Algida Lapide”, il gelato bianco come la neve e massiccio come un iceberg, che l’omonima azienda vuol lanciare proprio sul mercato italiano. Si tratta di un cono in calcare e dolomia con due palline di gelato freddo come il marmo, al gusto di ossido di ferro e noduli di selce. Si dice che un turista olandese, muratore di professione, di passaggio a Carrara, tappa intermedia verso Rosignano Solvay, campeggio Tomba Etrusca (dettaglio di non secondaria importanza), abbia accettato volentieri di testare l“Algida Lapide”, acquistando un cono con aggiunta di una variegatura di argilla, bicarbonato di calcio e limo. Una volta arrivato a destinazione, accortosi di aver dimenticato in quel di Amsterdam il martello a maglio, ha potuto tranquillamente utilizzare cono e palline per picchettare – con grande successo – la tenda. E davanti ai campeggiatori, allibiti, ha dichiarato, neppure troppo affaticato, ma assai soddisfatto: “Così, a piantar picchetti, c’è più gusto!”.