LItalia decrepita dei Celentano e dei Morandi è andata in onda ieri. Li chiamano artisti, ma sono solo due tra i nostri modesti uomini di spettacolo – ingrassati per cinquantanni dai soldi del servizio pubblico (Morandi e Celentano devono tutto alla Rai). E ieri sera sè vista la loro modesta statura, inversamente proporzionale alla mania di grandeur di cartapesta andata in scena. Si tratta di gente che ha fatto qualche (qualche, non di più) buona canzone. Ed è stata mantenuta lautamente dal regime pubblico radiotelevisivo. Cantanti di Stato, verrebbe da dire.
Nel merito dellattacco del Predicatore Pubblico ai due giornali cattolici, i due direttori han già risposto in modo asciutto. Andatevi a leggere le poche righe con cui liquidano la sbruffonata di Celentano, bravo a orientare il suo fuoco polemico solo su obiettivi facili facili, costretto a coprire la verità del suo grottesco egotismo. Il problema sollevato ieri per me riguarda un punto, che non è tanto larroganza da Grande Fratello orwelliano con cui si dice di chiudere i giornali fastidiosi. Il punto è: perché quei giornali? Sono forse gli unici due giornali insurrezionali rispetto al pensiero unico, dominante?
Riflettiamo un attimo. La tv di servizio pubblico ormai parla solo grazie ai casi dei suoi telepredicatori: i Saviano, i Santoro, i Celentano o gli altri predicatoruzzi. Da tempo si assiste al fenomeno della creazione di nuovi preti. Creati, voluti e ben pagati da misteriose (?) manine dentro al servizio pubblico. Spesso questi nuovi preti sono tanto bravi a moraleggiare contro politici o altri obiettivi facili con la portaerei della tv pubblica sotto il sedere, quanto abili poi a sfruttare la situazione e crearsi le proprie aziendine. Giornali come il fatto, ad esempio, non hanno avuto potremmo dire lo spin off e un bel po di spot di promozione delle sue firme di punta grazie alla Rai? E allora la domanda oggi urgente non è tanto a riguardo di Celentano, ma della Rai.
Perché il fascistoide proclama sul chiudere i giornali che hanno criticato il suo cachet e lipocrisia della beneficenza organizzata e pubblica, ha come unico vero effetto il dilagare della domanda: perché si tiene aperta la Rai? Ovvero qual è lo scopo del servizio pubblico se ormai le uniche tendenze che crea sono quelle del voyeurismo (i reality) e del predicatorismo (i nuovi preti) apparentemente opposte ma complementari? Cè bisogno di spendere denaro pubblico per questo? Quali oscure manine, nelle stanze che sembrano sembra cambiare per non cambiare mai decidono che lItalia per forza bisogno di Sanremo, di Morandi, di Celentano e di tutta questa paccottiglia ben orientata? A quale pensiero, a quale gusto estetico si sono nutriti i funzionari che immaginano, preparano, vidimano questo spreco di niente per niente?
Non si tratta di politica. No la questione è più grossa, vischiosa, e violenta. In questo senso la Rai è un teatro anche nobile degli scontri veri. E chi allinterno non si piega a certi diktat ha davvero la statura delleroe e del testimone. Tutti son pronti a dire che il problema della Rai è la politica, linfiltrazione dei partiti, ecc. No, il problema della Rai è stato per lungo tempo ed è la cultura dei suoi capi (interni ed esterni). Ripeto la cultura, non la politica, è il problema. In Rai prospera un mostro: si chiama cultura dominante. La quale, per giustificarsi, ha capito che deve sempre mascherarsi per protestataria e risentita, per continuare a prosperare e a vendere.
La figura dell’attuale direttore generale, Lorenza Lei, dando prova di una libertà dai partiti e di un’autonomia culturale dallo strapotere dei nuovi preti e nuovi predicatori ha fatto qualche passo culturale in avanti. Lo avevano capito Péguy e Pasolini: il ricatto moralistico all’uomo – vero collante dei potere – continua in tante forme, ci sono i nuovi chierici “progressisti”, i nuovi gendarmi sulla moralità, e nuove forme di risentimento pagato dallo Stato.
Che si dia “mano libera” a un modesto confezionatore di pensierini (lo si era già visto) durante lo spettacolo più promosso e pompato e nazionalpopolare, non è un segno di coraggio e di rispetto dell’artista, è malizia e dabbenaggine culturale, oltre che negazione della natura del servizio pubblico. Come accade spesso, coloro che pensavano grazie allo show di Celentano di sparare una gran bomba l’han sparata sì, ma in alto sulle loro teste, e questa sta per tornare giù. Ma naturalmente certe manine proteggeranno. Fino al prossimo show, al prossimo piacevole predicatore imposto dallo Stato.