Maisie ha sei anni e due genitori troppo egoisti. Totalmente ripiegati su se stessi e sulla propria carriera per dedicarsi alla figlia come dovrebbero. Susanna (Julienne Moore), una rockstar quasi tramontata e impegnata a rincorrere leterno sogno di gloria. Beale, uomo daffari sempre al telefono o in viaggio. Nel mezzo, appunto, cè Maisie, che diventa ben presto loggetto di contesa in un legame affettivo ormai consumato.
I registi Scott McGehee e David Siegel fanno della separazione il tema centrale del loro film, non tanto soffermandosi sullinvoluzione diacronica del rapporto tra Susanna e Beale, quanto raccontando le manifestazioni di odio che intercorrono tra i due genitori e la corsa a conquistare laffetto e la benevolenza della dolce Maisie. Che, come il titolo suggerisce, è lunico punto di osservazione dellintera vicenda.
Dal suo sguardo non trapela un giudizio verso lirresponsabilità dei suoi genitori, né siamo noi spettatori in gradi di coglierne i pensieri. Maisie è semplicemente lo spioncino attraverso cui, in maniera abbastanza neutrale, i registi decidono di raccontarci che cosa sia oggi giorno la genitorialità. Scelgono un contesto estremo – la New York benestante e cinica, in continua tensione per mantenere saldi i propri privilegi – per stressare legoismo di una madre e un padre assenti rispetto a quanto richiederebbe il proprio ruolo. Ma, in qualche modo, per quanto McGehee e Siegel si astengano dal dare un giudizio, propongono una risposta al modello negativo di Susanna e Baele. Maisie, infatti, ha tempo e modo di affezionarsi a Margo e Lincoln, rispettivamente la moglie di suo padre e il marito di Susanna, che del tutto spontaneamente e gratuitamente accolgono la piccola di un affetto sincero e amorevole.
Il paragone tra le due coppie è inevitabile, così come è naturale che lo spettatore si crei unopinione precisa su cosa i due registi intendano per genitorialità. In maniera abbastanza evidente e schietta, infatti, McGehee e Siegel ci domandano che cosa voglia dire essere madre e padre. In termini assoluti, ancor prima che contestualizzati rispetto a una contemporaneità stressante. Altrettanto diretta è la risposta che ci suggeriscono.
Quel che è pregevole in Quel che sapeva Maisie è che si è scelto di affrontare il tema dal punto di vista di un bambino, ma senza filtrare attraverso le sue emozioni la visione negativa di un certo modello di essere madre e padre. Facendo di Maisie semplicemente l’oggetto delle conseguenze dei comportamenti irresponsabili di Susanna e Beale e nello stesso tempo riversando su di lei l’amore premuroso di Margo e Lincoln, i registi hanno voluto scrivere un’idea netta e inequivocabile di famiglia, lasciando poco spazio ad altre visioni.
In questo modo – al riparo dal condividere i patimenti emotivi della piccola Maisie – il film scorre in modo quasi rassicurante. Perché, per quanto si provi compassione per Susanna e Beale e dispiacere per la bambina, nello stesso tempo si fa spazio il sollievo nel sapere che Maisie ha conquistato ciò che spetta a una bambina di 6 anni, ovvero l’amore e la tenerezza che le regalino la libertà di crescere senza pensieri.