Siamo nellera dei kolossal senzanima, film spettacolari che incantano con la perfezione tecnica e la coerenza narrativa, ma non regalano emozioni. Lultima fatica di Ridley Scott, Prometheus, non fa eccezione. Se si guarda con lo spirito giusto, è un prodotto di ottima fattura. Scott cura la parte visiva, Damon Lindelof (uno degli autori di Lost) intreccia con abilità la trama, suscitando nuove domande ogni volta che sono fornite delle risposte. Il finale lascia presagire una serie, come Alien e le altre saghe fantascientifiche che hanno appassionato gli amanti del genere.
Ambientato nel futuro, il film racconta limpresa dellastronave Prometheus, che nel 2089 atterra su un nuovo pianeta con un equipaggio pronto a esplorarlo. A finanziare loperazione è un miliardario in punto di morte, ossessionato dal desiderio di immortalità. Il vecchio porta con sé la glaciale Charlize Theron e il bravo Michael Fassbender (David), un androide privo di emozioni e sentimenti, che considera un figlio. Nel suo sguardo freddo e atarassico leggiamo la minaccia della creatura che si ribella al creatore, uno dei temi cari al regista, che naturalmente determina la svolta finale.
La missione di Prometheus ha uno scopo più ambizioso di qualsiasi altra spedizione nello spazio. I ricercatori Shaw e Holloway, infatti, sono convinti di avere rintracciato le origini della razza umana, creata da alieni dal DNA umano. Hanno trovato in diverse parti del mondo ununica immagine, antichissima, in cui si indica il pianeta di una costellazione sconosciuta. E sono convinti che si tratti dei nostri veri progenitori.
Arrivati a destinazione, però, devono confrontarsi con un mondo di morte e di distruzione. La civiltà aliena ha lasciato monumentali tracce di sé nella pietra, ma anche una scia di cadaveri. Gli scienziati vanno alla ricerca dellassassino, ignari che il vero pericolo si nasconde sempre nelle creature che luomo stesso costruisce a propria immagine e somiglianza, convinto di dominarle. La colonna portante del film è leterna domanda, da cui forse nasce la stessa fantascienza: da dove ha origine la specie umana?
Prometheus lancia una sfida, ipotizzando che l’uomo non sia stato creato da Dio, ma da un altro uomo. Ma l’orizzonte religioso, il bisogno di fede, rimane, perché una risposta non fa che aprire un nuovo dubbio: chi c’è all’origine della catena di creatori-creature? Chi ha dato inizio alla vita? Regista e sceneggiatore si muovono nel terreno della curiosità intellettuale, del desiderio di scoperta che nell’antichità spingeva i naviganti oltre le colonne d’Ercole, i confini del mondo conosciuto.
Creano la tensione puntando sulla paura dell’ignoto, sull’ansia dello spettatore che si aspetta un pericolo dietro ogni angolo, e sospetta di qualsiasi personaggio. Ma non si salvano dallo stereotipo (il pilota che si sacrifica per la salvezza dell’umanità) e non riescono a offrirci una coppia interessante, una sottotrama emotiva che catturi il cuore, oltre che gli occhi.
Il personaggio di Noomi Rapace passa da un estremo all’altro senza suscitare empatia; la sua determinazione e il suo coraggio, nati dalla disperazione, non bastano a renderla un personaggio memorabile. Non è certo lei che ci trascinerà a vedere il sequel. Sarà invece la potente macchina visiva, unita a una curiosità innata di scoprire dove porteranno le domande cosmiche suscitate dalla storia.