Che internet abbia provocato enormi cambiamenti nella nostra vita sociale, lavorativa e privata è cosa nota. risaputo anche che questi cambiamenti hanno risvolti positivi e negativi, in base alluso che ne facciamo. Il regista Henry-Alex Rubin ha orchestrato un film, Disconnect, che esplora il rovescio della medaglia, la parte oscura della vita online, intrecciando le storie di alcuni personaggi che sfruttano internet in modo sbagliato senza riflettere sulle conseguenze, oppure che ne diventano vittime. Pur non gettando una nuova luce sul tema, la pellicola riflette una verità che la società non sembra disposta ad ammettere: nascondersi dietro un alter ego virtuale non rende migliore la vita di nessuno e non esiste tecnologia che possa sostituire le relazioni umane.
I protagonisti appartengono a diverse fasce detà, perché ormai si comincia da ragazzini a costruirsi unidentità virtuale. A volte, però, lo scherzo sfugge al controllo e provoca disastri, come accade ai due amici che, per prendersi gioco di un compagno di scuola timido e solitario, aprono il finto profilo di una ragazza su Facebook e inscenano un interesse che, nel corso della storia, diventa la molla che porterà alla tragedia.
Intanto Kyle, un ragazzo ancora adolescente, si vende sulle videochat insieme ad altri coetanei, gestiti da un uomo senza scrupoli che ha trovato in internet una fonte di denaro sfruttando i minorenni. Quando Nina, una giornalista televisiva, contatta Kyle per costruire un servizio sul caso, lillusione che le cose possano cambiare si infrange contro la scelta egoistica di difendere gli interessi individuali (e contro lincompetenza della polizia).
Una coppia si trova senza soldi quando un pirata informatico raccoglie i dati della carta di credito usata per i pagamenti online e prosciuga il loro conto, sfruttando la debolezza della donna che, invece di parlare con il marito, ha cercato conforto in un forum dove sfogare il dolore per la perdita del suo bambino. Infine, un avvocato perennemente connesso si accorge tardi di non conoscere i figli e i loro problemi e di ignorare lui stesso quanto la realtà virtuale possa rappresentare una trappola.
Sul modello di Crash di Paul Haggis, Disconnect parla di un mondo in cui tutti sono connessi tra loro, ma, fondamentalmente, restano soli. Forse più soli ancora che se vivessero in una capanna tra i boschi, perché i protagonisti non perdono soltanto il contatto con gli altri, ma anche e soprattutto con se stessi. Internet diventa lo specchio del loro successo o insuccesso, dell’approvazione altrui, in definitiva delle loro capacità relazionali, lavorative, sentimentali, come se non esistesse, là fuori, un mondo con cui confrontarsi davvero, anzi, l’unico mondo che conti davvero.
La struttura e la regia del film sono quasi televisive, non mostrano guizzi o tocchi personali, ma le scene sono costruite con abilità, ben interpretate e sempre in grado di suscitare un’emozione. A dispetto del coinvolgimento, tuttavia, resta la sensazione che a Disconnect manchi qualcosa per raggiungere i livelli di The Social Network: il coraggio di esprimere una nuova visione, una lettura diversa della realtà e un finale dagli esiti imprevisti.