Il caso Enzo Tortora è la fiction, attesissima, che debutta stasera su Rai Uno con la prima puntata (la seconda andrà in onda domani, lunedì 1 ottobre). Al centro c’è la storia del conduttore televisivo che nel 1983, proprio all’apice della sua carriera, venne arrestato con l’accusa di essere affiliato alla Camorra e solo quattro anni dopo fu assolto con formula piena. Un uomo di successo, per un grave errore giudiziario, precipita quindi in un inferno che lo debiliterà moralmente e fisicamente sino a condurlo alla morte. Diretta da Ricky Tognazzi, la mini-serie riprende nel titolo – “Il caso Enzo Tortora: dove eravamo rimasti?” – la frase con cui Tortora ha salutato nuovamente l’affezionato pubblico di “Portobello” nella prima puntata dopo gli anni della detenzione e della battaglia giudiziaria. A interpretare il presentatore è lo stesso regista Ricky Tognazzi, mentre Bianca Guaccero veste i panni dell’ultima compagna di Tortora, Francesca Scopelliti che resterà al suo fianco negli ani più bui. Proprio l’attrice racconta in questa intervista a ilsussidiario.net com’è stato recitare in questa attesa fiction e interpretare un ruolo così importante.
Bianca, come ti sei documentata per interpretare questo ruolo?
Ho usato internet, che ormai è diventato una fonte inesauribile di cultura e una risposta per qualsiasi tipo di domanda. Sto ristudiando persino la storia attraverso la rete. Attraverso internet mi sono documentata su Francesca Scopelliti, questa giovane e bellissima giornalista che è stata accanto a Tortora negli anni più bui: ho trovato anche alcuni video, più recenti rispetto al periodo raccontato nella fiction, dei suoi comizi politici. Fra l’altro, ho avuto modo di conoscerla personalmente solo pochi giorni fa durante la registrazione della puntata di “Porta a porta” perchè lei aveva fatto visita alla troupe sul set diverse volte, ma non ci siamo mai incrociate.
Hai avuto contatti con la famiglia Tortora?
Io non ho avuto contatti con la famiglia: di questo se n’è occupata la produzione.
Che idea ti sei fatta della vicenda?
La storia di Enzo Tortora mi ha travolta e stravolta, perchè mi sono resa conto che non si è mai piegato all’ingiustizia che lo ha violentato nell’intimo. Anzi: lui ha tratto un’opportunità per dare voce ai carcerati, condurre le sue battaglie civili e politiche cercando una giustizia laddove era assente. Il dubbio che rimane è che lo schiaffo subito abbia motivi più profondi e lati ancora da svelare: ad esempio, i magistrati del processo hanno fatto carriera, mentre gli avvocati che hanno difeso Tortora non hanno ricevuto alcun tipo di riconoscimento. In più, è stata data credibilità a delinquenti psicologicamente instabili. Questa vicenda lascia veramente l’amaro in bocca perchè non c’è violenza peggiore di un intero sistema che si accanisce contro un uomo innocente rendendolo impotente. Allo stesso tempo, provo rabbia e questo mi dà la spinta per poter cambiare il sistema di questo Paese. Credo che ormai siamo tutti davvero stanchi di leggere e ascoltare storie di fondi e privilegi ai partiti. Ormai sembra che rubare sia diventata la normalità. Questa fiction si inserisce nel momento storico più giusto, come se desse la possibilità a Tortora di lanciare un messaggio. Personalmente, questa vicenda mi ha toccato nel profondo e ha cambiato alcuni miei punti di vista tanto che sto invitando i miei cari a documentarsi sulle vicende giudiziarie.
Quali sono i tratti principali del carattere del tuo personaggio che hai voluto sottolineare?
Francesca è stata per me un personaggio estremamente affascinante. Mi sono preparata insieme a Ricky (Tognazzi, ndr) e a Simona (Izzo, ndr) che un po’ come fanno i genitori, mi hanno avvolto metaforicamente fra le loro braccia e mi hanno condotta verso percorsi inesplorati. Abbiamo lavorato su toni raffinati perchè Francesca è una donna acuta, intelligente ma anche molto sensuale: ho fatto un lavoro completamente diverso dal solito, mettendo in evidenza sentimenti inespressi che hanno avuto sfogo nel rapporto epistolare che Francesca ed Enzo hanno intessuto mentre lui era in carcere. E’ straordinario come, attraverso queste lettere, abbiano stabilito un contatto che toccasse le corde più profonde dell’anima. E’ stata una sfida dura ma stimolante raccontare, attraverso i miei e i suoi sguardi, un amore lontano ma ugualmente forte e totalizzante.
L’incontro con Tortora, per Francesca, è stato cruciale e ha cambiato la sua vita e anche la sua carriera. A te è successo qualcosa di analogo?
Gli incontri che hanno cambiato la mia vita sono stati molti, ma, forse, quello a cui resto tutt’ora più affezionata è quello con il mio primo regista, Fabio Segatori, che mi ha diretta in “Terra bruciata” con Raoul Bova e Michele Placido. Avevo sedici anni ed è stata la mia prima esperienza sul set. Un incontro che paragonerei a un treno magico e che mi ha dato la possibilità di conoscere un mondo che è poi diventato tutta la mia vita. Mi hanno cambiata anche le tante persone che mi hanno ferita perchè mi hanno dato la possibilità di inquadrare e capire i miei errori.
Che ricordo hai o che idea ti sei fatta della tv dei tempi di Tortora?
In quel momento storico avevo solo due anni e, come un sogno, forse mi ricordo la sigla di “Portobello”. Tutto è cambiato da allora, quando, l’offerta dei canali era minore e gli show come quello di Tortora registravano audience altissimi. Penso che da allora la tv sia peggiorata: sembra che, tutto a un tratto, gli artisti siano diventati noiosi e si sia puntato sullo scavare sempre più a fondo nella vita delle persone. Questa è tutt’altro che arte e il sistema sembra che vada al contrario: prima, si cerca di conoscere la persona e poi ci si sforza per farla diventare un personaggio, indipendentemente dalle qualità del soggetto.
Hai girato scene in carcere?
Non io. Abbiamo voluto essere rispettosi, come lo fu Francesca, della famiglia Tortora. Lei rimase sempre un passo indietro rispetto a loro e penso che abbia dovuto lottare doppiamente per la verità. Penso che se fosse stata solo alla ricerca della popolarità non avrebbe retto all’urto dell’infamia e dei processi mediatici. Io credo ciecamente al suo amore.
Ci sono stati episodi particolari durante la lavorazione o sul set che ti hanno lasciato un segno?
Mi ha colpita molto la scena dell’arresto che abbiamo girato nello scenario suggestivo della città di Napoli, in mezzo a una grande folla. Tutto sembrava assolutamente reale. Non riesco nemmeno a immaginare il succedersi dei fatti in quella brutta giornata e la violenza della stampa che ha costruito un processo mediatico a cui non esiste risarcimento. Alcuni anni fa ho girato la fiction “La terza verità”, ossia quella mediatica, che ha regole spietate: le accuse fanno notizia, mentre è il contrario per le smentite. Quest’uomo è stato infamato ancor più profondamente perchè è stata data meno rilevanza alla sua innocenza rispetto alle accuse di colpevolezza.
(Federica Ghizzardi)