In guerra e in amore, si dice, tutto è permesso. E così, nella guerra contro il digitale terrestre e la nuova piattaforma satellitare Tivu Sat, Sky ha pensato bene di giocare il tutto per tutto, rivolgendosi per la prima volta nel nostro paese direttamente al pubblico dei giovanissimi. No, non i bambini, ma i neonati: Baby TV, il canale nato in Inghilterra nel 2005, e già diffuso in numerosi altri paesi nel mondo, si rivolge infatti agli infanti da 0 a 3 anni. La notizia non poteva che scatenare reazioni critiche da parte dei movimenti di difesa dei minori, in particolare di quelli più diffidenti verso il piccolo schermo: i bambini sotto i trentasei mesi, sostiene il Moige, rischiano sia dal punto di vista della crescita fisica sia di quella psicologica. Il timore di fondo resta quello del “parcheggio” dei più piccoli di fronte al televisore: non a caso, la difesa d’ufficio da parte di Fox, del cui bouquet Baby TV fa parte, mira a scongiurare l’obiezione sempre attuale della “baby sitter” catodica, e assicura che il nuovo canale va inteso piuttosto come una nuova occasione di interazione tra genitori e figli.
Difficile crederlo: ma non certo per via delle malefiche arti incantatorie della televisione, del suo potere ipnotico, della sua irresistibile malìa. Il pericolo, come sempre, non sta negli strumenti, ma nell’uso – o abuso – che se ne fa: e che decide del loro essere, di volta in volta, utili sostegni, svaghi innocenti, aiuti all’educazione, o puri e semplici sostituti di una funzione genitoriale assente. Così il piccolo schermo non è il primo e non sarà l’ultimo, né il più dannoso, dei “parcheggi” cui vengono ogni giorno affidati i nostri bambini, in particolare quelli sotto i trentasei mesi: alle cui esigenze specifiche, TV a parte, viene di solito dedicata un’attenzione pressoché nulla, surclassata dalle istanze della parità e della produttività. È in nome dell’una e dell’altra che i bambini oggi devono rinunciare ad essere allevati da madri e padri in questa delicata fase del loro primo sviluppo; e nell’impossibilità di trascorrere più di qualche decina di minuti al giorno con i loro genitori, sono rimbalzati da nonni a tate, da asili nido a ludoteche. Il tutto, stranamente (o forse no) senza che alcuno protesti: anzi, per lo più, nella generale invocazione affinché i cosiddetti servizi di assistenza all’infanzia amplino i loro orari e tempi di apertura, e vengano incrementati, possibilmente a spese dello Stato.
Troppo facile prendersela con la TV. Grazie anche all’impegno delle associazioni che, negli anni, hanno esercitato una costante vigilanza sul consumo di media da parte dei minori, la televisione rappresenta sempre meno uno spauracchio per i bambini: che rispetto a qualche anno fa possono ora contare su programmazioni dedicate, senza infiltrazioni di violenza dal mondo adulto e depurate di spot. Così, il nuovo canale di Sky sarà realizzato sotto la direzione di esperti e psicologi, e trasmesso completamente privo di pubblicità. Ma chi vigilerà invece su quei lattanti che, affidati a baby sitter in carne e ossa, vengono trascinati per giorni nei loro passeggini in solitarie perlustrazioni dalla tata che non rivolge loro una parola? Chi sorveglierà invece quei neonati che, iscritti pure al migliore degli asili nido, passano a sei mesi o poco più dal costante, vitale contatto con la madre a una separazione che dura otto o dieci ore al giorno, in attesa di una mezz’ora serale che, in nome del “tempo di qualità”, tenti di riscattare tanta lontananza? E a proposito di ripercussioni sulla crescita fisica e psicologica della prima infanzia, chi si preoccuperà di denunciare i documentati danni che derivano dalla separazione prolungata dei neonati dai loro genitori fin dai primi mesi di vita, divenuta ormai lo standard nella nostra civiltà efficientista, egualitarista, e profondamente sterile?