Per i fan di Harry Potter è giunto il momento di dire addio al loro beniamino. Con luscita della seconda parte di Harry Potter e i Doni della Morte si conclude la storia del maghetto inglese, che come Re Mida ha trasformato in oro tutto ciò che ha sfiorato, lanciando un business mondiale.
Era il 2001 quando Chris Columbus diresse il primo film della saga creata da JK Rowling: lundicenne Harry entrava in un mondo bizzarro, popolato da strane creature e governato da incantesimi in latino, incontrando gli amici destinati a diventare la sua nuova famiglia e il nemico che lavrebbe perseguitato per sette lunghi romanzi e ben otto film. Dieci anni dopo, Harry, Ron e Hermione hanno completato il loro apprendistato (e gli attori che li interpretano, Daniel Radcliffe, Emma Watson e Rupert Grint, sono diventati delle star) e possono affrontare i maghi più potenti.
La prima parte di Harry Potter e i Doni della Morte si era conclusa con la morte dellelfo domestico Dobby, una sorta di simbolico addio alla spensieratezza, alle risate, ai banchetti, alle stranezze del mondo di Hogwarts. Nel capitolo conclusivo, inevitabilmente, lattenzione concentra sullo scontro finale e il tono del film diventa sempre più dark. Voldemort esce allo scoperto, uccide i nemici e persino i seguaci come se fossero mosche, confermandosi un cattivo a tutto tondo che ha abbracciato la strada del Male senza rimorso. Per lui non cè redenzione.
Harry e i suoi amici proseguono la ricerca delle Horcrux, gli oggetti che custodiscono i frammenti dellanima del Signore Oscuro, ignorando quale sia lultima, la più insospettabile. In questa caccia al tesoro il trio irrompe nella Gringotts, la banca dei maghi, da cui fugge in groppa a un drago per poi tornare a Hogwarts, ormai più simile a un campo di prigionia che a una scuola.
Tutti i fili devono essere dipanati, perciò scopriamo finalmente la verità sull’enigmatico Severus Piton (interpretato da un grande Alan Rickman) e sulla connessione tra Harry e Voldermort, arrivando al momento cruciale del film. Il duello tra i due, che nel romanzo era verbale, sullo schermo si trasforma in una scena action (per ovvie esigenze cinematografiche) ricca di effetti speciali, ma meno incisiva dal punto di vista emotivo.
Per chi ha seguito la saga fa un certo effetto salutare i protagonisti, dopo averli visti crescere. E per chi ha letto tutti i romanzi sarà deludente scoprire che certi dettagli interessanti sono stati sacrificati per comprimere il materiale in due ore di proiezione e per rendere più lineare una storia sempre più intricata, tra Horcrux e Doni della Morte. Ma il film chiude coerentemente la serie, senza vette e senza abissi, con un 3D non strettamente necessario, qualche lungaggine (nella prima parte), alcuni picchi emotivi (quando Harry scopre il suo destino) e un tono cupo che, d’altra parte, era anche nel romanzo.
Non convincono l’incontro “mentale” con il defunto Silente, che sullo schermo non riesce a restituire il significato del dialogo originale tra l’allievo e il maestro, e la frettolosa conclusione delle storie d’amore, anche se – va detto – Harry Potter non ha mai puntato sul romance, quanto piuttosto sull’esaltazione dell’amicizia, della lealtà e del coraggio, valori universali messi in scena in un mondo magico, sì, ma parallelo a quello umano.
Due punti di merito vanno a Luna e a Neville, gli emarginati della scuola che, dietro l’apparente follia (Luna) e imbranataggine (Neville) si sono ritagliati il loro momento di gloria. E un punticino va anche a Draco Malfoy, che poteva essere l’erede di Voldemort e invece in qualche modo si è salvato.
Con l’happy end “19 anni dopo”, che a dire il vero fa un effetto un po’ melenso, salutiamo Harry Potter e chiudiamo i cancelli di Hogwarts, tornando alla nostra realtà di Babbani e aspettando la prossima saga. Prima o poi arriverà.