Il mondo tende a vedere lattuale momento di disgregazione economica come unaberrazione derivante da un fenomeno a sua volta aberrante, che viene definito avidità. La conseguenza tratta è che sia possibile creare un sistema sostenuto da qualcosa chiamata virtù, che permetterà di evitare tutto questo. Fandonie, perché ciò che è successo è linevitabile risultato di un sistema che cerca di sfruttare il desiderio umano senza riconoscerne la natura infinita. Possiamo tranquillamente predire che tutto ciò continuerà ad accadere.
Lavidità è bene, il famoso motto di Gordon Gekko nel film Wall Street del 1987, non era altro che un esplicito riconoscimento di ciò che fa funzionare il capitalismo. Si possono appoggiare a parole le regolamentazioni, ma se non si pone attenzione alle motivazioni che spingono chi è nel sistema, non vi è nulla da regolare. Dato che il capitalismo dà sfogo al desiderio e alla presunzione umana, è probabilmente impossibile regolarlo senza inevitabilmente smontare il meccanismo.
Al fondo è come un gioco di prestigio di cui i partecipanti pretendono di essere alloscuro. Sfruttando la natura di Torre di Babele propria del sistema, è possibile produrre massicci guadagni cartacei, se avete nervi di tungsteno e il dono della scelta giusta dei tempi. Le bolle si creano quando tutti decidono contemporaneamente di continuare, cioè quando la maggioranza degli operatori si convince che i suoi desideri verranno esauditi. Quando i nervi saltano, la bolla scoppia.
Dato che il meccanismo si fonda sulla fiducia nelle proprie scelte, la cautela, che è ciò che la regolamentazione rappresenta, rischia di essergli fatale. Crescita sostenibile è una contraddizione in termini, una negazione del desiderio umano, con la sua naturale violenza. Vince solo chi non ha paura ma, alla fine, chi non ha paura fa il tonfo maggiore.
Attualmente il problema fondamentale è che nessuno ha più fiducia e, senza questa, il sistema non può operare in modo appropriato. Abbiamo ormai abbandonato ogni illusione sul credito senza fine, avendo preso denaro a prestito per 25 anni nella speranza di poter continuare a rimandare nel tempo le conseguenze. Ciò che stiamo sperimentando è quindi una profonda crisi esistenziale, la cui lezione sottintesa è che nessun sistema, alla lunga, è in grado di guidare il desidero umano verso una concezione elevata di progresso: il meccanismo del desiderio delluomo rimane fragile e soggetto ad ogni tipo di errori.
Molto del pubblico dibattito in materia va in una direzione sbagliata ed è perciò sprecato. È inutile mettere in discussione i meccanismi del sistema; la sola domanda utile è perché consideriamo il gioco d’azzardo un meccanismo appropriato per l’economia globale, e questa è una questione tecnica, non morale.
Questi sono alcuni dei pensieri che mi sono venuti in mente dopo aver visto Wall Street II, Money Never Sleeps, il nuovo film di Oliver Stone con Michael Douglas ancora nella parte di Gordon Gekko.
Non voglio dire che si tratti di un film che porta a pensare, perché è il peggiore che ho visto dal Codice Da Vinci: è troppo dettagliato sulla parte sbagliata e poco sull’umana natura. Il tema centrale di ogni film sul denaro dovrebbe essere il desiderio umano e Il denaro non dorme mai neppure identifica il desiderio come un fondamentale fenomeno esistenziale, ma semplicemente presenta gente potente e determinata che fa cose che la nostra cultura prende per buone.
Il film non ci porta mai al di sotto del significato superficiale delle cose, in nessun punto si arriva al significato del denaro per la società umana. Né si coglie l’idea di desiderio e di come esso possa portare gli uomini fuori strada. L’unico momento in cui ci si avvicina a questo è quando Gekko riprende un concetto espresso nel primo film: non è questione di soldi, è un gioco. Se uno sceneggiatore principiante consegnasse una simile sceneggiatura al suo tutor, finirebbe tutto nel cestino tranne Gekko. L’impressione è che, magari per le scadenze incombenti, si sia ingaggiato un autore di fumetti per fornire una mezza dozzina di battute a Gordon, rendendo il film quasi guardabile, come quando dichiara che ogni volta che deve scegliere tra due mali, sceglie sempre quello che non gli è ancora capitato.
Recenti ricerche sulla psicologia dei banchieri durante il più recente periodo di boom, condotte da uno psicologo sociale della London School of Economics, hanno dimostrato che “il fattore umano” sta dietro molte delle decisioni prese dai banchieri e che sono alla base del crollo del sistema bancario nel 2008. Valutazioni “razionali” dei fatti ci sono state nel processo decisionale per concedere mutui o prestiti, ma di gran lunga più importanti sono state considerazioni sulla concorrenza, sugli incentivi agli stipendi, la cultura del silenzio interna all’organizzazione, e un irrealistico ottimismo personale dei singoli banchieri. Questi e altri fattori hanno contribuito a formare una psicologia collettiva che ha distorto la valutazione del rischio. In altre parole, il crollo del sistema non è derivato solamente dalla semplice avidità, ma da un complesso di aspirazioni e interazioni umane.
Questi messaggi sono lenti da assorbire. Gli aspetti morali invadono tutte le discussioni sul denaro, attaccandosi a tutto e tutto incollando insieme: Wall Street II, Money Never Sleeps aumenta l’attaccaticcio senza introdurre nessun nuovo punto di vista.
Non voglio rovinare il finale, ma …per la verità è talmente brutto che non importerebbe un granché. Ma non voglio comunque farlo. Il finale è una classica sdolcinatezza hollywoodiana, in una situazione dove questo sembrerebbe oggettivamente impossibile.
Nel finale si vedono Gekko, sua figlia Winnie (Carey Mulligan) e il suo fidanzato Jake (Shia LaBeouf), e Gekko cerca di riconciliarsi con Winnie, per la seconda volta nel film. Grazie alle macchinazioni di Gekko la relazione tra i due giovani sta andando male e Jake è andato da Winnie per sistemare le cose, ma gli è stato dato il ben servito. Improvvisamente riappare Gekko e, in pochi minuti, tutto viene messo a posto.
Per Winnie “non si tratta di denaro”. Lei gestisce un sito web sinistrorso e insieme al suo fidanzato Jake, che lavora in Borsa, fa lunghi discorsi su responsabilità e sostenibilità. Il suo personaggio ha molto del cliché e la sua superficialità pone talmente in dubbio l’intelligenza degli autori da far pensare che qualcosa ci sia sfuggito, ma purtroppo non è così.
Il fatto che permette il finale arriva proprio dal soggetto che il film tenta di mettere sotto accusa. A prima vista è un momento di redenzione, se non fosse che il deus ex machina è un trasferimento elettronico di denaro di 100 milioni di dollari, che ormai per Gordon rappresentano poco più che degli spiccioli. Alla fine, il denaro compra “l’amore” di tutti.
Forse il grottesco è proprio ciò che Oliver Stone voleva rappresentare, ma se è così, l’unica parte utile del film è persa in tutta la melassa che la sommerge. Se questo è il suo punto forte, è trattato in modo tale da essere poco più che un sottinteso, sepolto in un misto di moralismo e sentimentalismo. Winnie e Jake sono lasciati alle loro idee da PC e alla loro auto gratificazione. Gekko sembra un po’ migliorato, ma ancora in una luce ambigua.
Due anni fa ero rimasto colpito da W., il film di Stone su George W. Bush, nel quale sembrava giocare subdolamente con i pregiudizi del suo pubblico, presentando Bush come un uomo reale che aveva cercato di affrontare la realtà in un modo che sembrava onesto e concreto. Qui invece sembra giocare con i sentimentalismi del pubblico e con la rabbia sviata di una società che, con tutte le sue proteste sui mali di una ricchezza senza limiti, sta in realtà cercando, non conoscendo altre vie, di rimettere insieme i pezzi del giocattolo rotto.
Vorrei credere che Stone abbia realizzato un brutto film solo per dimostrare questo punto, lasciandolo in modo leggero lì, alla fine del pantano di trama povera, di magie tecnologiche gratuite e di cattiva caratterizzazione dei personaggi che è Money Never Sleeps. Ho però letto parecchie sue interviste sul film, nelle quali non va oltre le solite banalità progressiste, e sono perciò giunto alla conclusione che la maggior parte delle cose interessanti che ho trovato non erano intenzionali.
Oliver Stone ha definito “meraviglioso” il finale. Forse ha ragione, ma solo grazie a un’ironia che sembra del tutto non voluta. Alla fine della sua carriera, Gordon pare aver capito che, mentre per lui e gli altri squali è tutto un grande gioco, quelli che disprezzano i soldi sono di gran lunga quelli che ne sono più facilmente sedotti. Alla fine, perfeziona il suo motto; i “buoni” sono i più avidi di tutti.