Pilot-show prodotto da Ince Media per Raiuno e condotto da Pino Insegno, “Insegnami a sognare” non mantiene del tutto la promessa di un nostalgico e pirotecnico amarcord. Il dialogo tra presente e passato non riesce a superare il limite dellaccostamento e della sovrapposizione: il risultato è un uso disorganico dei materiali di repertorio, senza unapparente idea forte che dia forma al programma.
Lintento dichiarato è quello di dare spazio ai protagonisti del mondo dello spettacolo che ci hanno insegnato a sognare, che hanno costruito lintrattenimento lieve e accurato del primo ventennio di Tv italiana.
Ci si rivolge perciò soprattutto a un pubblico di over quaranta, cui le note di “Carosello” richiamano un mondo di volti ed emozioni. Un pubblico, quindi, in linea con la fascia dei telespettatori di Raiuno.
Chi scrive, sfortunatamente cresciuta con la televisione di Bonolis e della De Filippi, non può appieno partecipare al pathos del ricordo, allincanto nostalgico del passato.
Sarebbe stato però forse universalmente apprezzato un uso più cospicuo e ragionato dei preziosissimi archivi Rai; da subito il nobile proposito è infatti inquinato dalla presenza travolgente ma debordante di Insegno, che cuce lo show su di sé.
Lattore parla di cinema, della sua carriera, coinvolge il pubblico in sala in uno sketch sul doppiaggio, si misura coi giganti del passato.
Gli slogan martellanti, unici fil rouge del programma, sono continuate a sognare e cè magia in sala. La componente magica e fantastica è affidata alla tecnologica digitale che permette a Insegno di ballare con una Carrà ventenne e ridere al fianco di Walter Chiari.
Una sovrapposizione che rimane però al livello pirotecnico dellimmagine e non apporta un reale valore aggiunto.
Pochissimi i momenti di reale intensità ottenuti: tra questi, memorabile, il proustiano duetto di Ranieri con il se stesso di quarantanni prima, lo sguardo commosso e indulgente in uninterpretazione altissima di Ventanni.
Insegno intanto compone sonetti sull’amore e subito assale il cuore una cupa nostalgia di Zelig e del suo sommo poeta Lastrico. Il paradigma della burla dantesca è ripreso più avanti anche da Sergio Fiorentini che ci dettaglia graziosamente Il girone della pubblicità, introducendo un fin troppo breve accenno al mito del Carosello.
Frequenti i cali di ritmo e le ingiustificate lentezze: è il caso dell’alternarsi delle magistrali letture di bollette e liste della spesa gassmaniane con speculari (almeno negli intenti) composizioni dell’emulatore Insegno.
Manca il tocco intelligente e lieve che occorre per portare la cultura nel varietà, ne consegue anche una fastidiosa riduzione del monologo d’apertura del Riccardo III a chiassosa gag.
L’interpretazione di "Però mi vuole bene" (Quartetto Cetra 1964) ci svela sin da subito il problema ontologico e irrisolvibile dello show: la grazia, l’armonia luminosa, la levità di quegli anni non sono emulabili oggi.
Insegno, il suo corpo di ballo, gli attori dell’Accademia romana, gli ospiti in sala, per quanto brillanti e professionali, non possono che apparire goffi e pesanti nel tentativo di riportare sullo schermo qualcosa che è andato perduto per sempre, grande in quanto non riproducibile, come la Sistina, come la Nona.
Per questo sarebbe stato più sapiente dare spazio e forma al materiale d’archivio, lasciar parlare i protagonisti, affidarsi ai ricordi di chi ha fatto lo spettacolo in quegli anni e sa che ogni momento ha il suo sapore irritrovabile.
Nel finale, miracolosamente, come un mattino, fiorisce dal nulla la voce di Marcello Mastroianni che parla di ricordi. L’unico momento del programma davvero in linea con gli intenti poetici, magici e nostalgici.
«Ricordati quello che hai visto» dice «perché quello che dimentichi torna a volare nel vento».
Marcello ci rammenta così quanto le “cose vedute” creino una generazione, e apre uno spiraglio su ciò cui ci sarebbe piaciuto assistere in questa serata.