Manca un mese all’Expo e sull’area di Rho-Pero – periferia di Milano, ma centro dell’esposizione mondiale – è un susseguirsi di archi e di tetti che formano l’ossatura portante dei padiglioni dei vari Paesi partecipanti. In realtà, ci si sarebbe potuto immaginare un contesto architettonico più variegato, ma tant’è, a differenza degli ingegneri – che come dice la parola stessa, un po’ di ingegno nella loro professione ce lo mettono – gli architetti sono generalmente un po’ meno acuti, se si eccettua il disegno degli archi, alla cui stesura definitiva ci arrivano solo dopo un filotto di cinque tanto precisi quanto inutili tentativi andati a vuoto: come sia che vada sempre a finire così rimane un mistero della professione, assai più certa è l’inequivocabile denominazione di archi a sesto acuto assunta nel tempo.
Chiamare in causa lo Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché le ha rubacchiate qua e là in giro per gli stand dei 60 padiglioni presenti all’Expo, è d’uopo: “Il sostantivo architetto ha un duplice significato. Se riferito a cosa, è un tetto pieno zeppo di archi; se riferito a persona, è un accanito disegnatore di tetti pieni zeppi di archi”.
L’architetto generalmente concepisce disegni che commuovono molto facilmente, per questo chiamati lucidi, e ama trascorrere la propria giornata lavorativa in un ambiente assai angusto, denominato studio, dove, si badi, non si studia ma si disegna. Naturalmente, tetti pieni zeppi di archi.
L’architetto ordinario, per meglio intenderci, un qualsiasi architetto comunemente inteso, prende il nome di archetipo. Di razza affatto rara, difetta di estro e ama progetti uniformi e incolori. Ma non mancano certo architetti considerati nel loro ambito delle vere e proprie archistar. Per esempio, un architetto assai famoso nell’era moderna è stato sicuramente lo svizzero Le Corbusier, al quale la Francia, Paese in cui molto ha lavorato, ha dedicato un famoso cognac, il Courvoisier. Motivo? Sotto l’effetto dell’alcool, Le Corb si lasciava andare a progettazioni urbanistiche e architettoniche al limite dell’utopistico, che in gergo sono state definite Les Corbelleries (dalla facile traduzione, “Le Corbellerie”).
Andando a ritroso nel tempo, tra gli architetti davvero geniali non possiamo non citare l’ingegnoso Archimede. Costui trovò ben presto la professione assai noiosa, nell’intrinseca e forsennata elaborazione di tetti e archi, sempre quelli: volendo, perciò, dare una svolta alla carriera, scelse di inventarsi qualcosa di nuovo. Si trovò così bene nelle sue nuove vesti che smise di fare l’architetto per gettarsi a capofitto nell’attività di inventore! Di lui si ricordano la tavola imbandita di numeri e gli specchi abbronzanti per signora. Sul finire della sua carriera, ormai anziano ma ancora vigoroso e pieno di idee, si imbatté in un architetto mancato, amante dei disegni (animati), ma non degli archi né tantomeno dei tetti, tal Walt Disney, che scatenò in lui la passione per la matematica. E ancora oggi Archimede si guadagna da vivere interpretando se stesso su “Topolino”.
Uno che il mestiere l’ha scelto e continua a farlo con passione (forse per la grana) è Renzo Piano, l’ideatore delCentre Georges Pompidou di Parigi (meglio noto come Beaubourg), a cui viene unanimemente riconosciuta una creatività che rasenta la genialità. Quello che non tutti sanno è che in realtà il suo vero nome è Pierlorenzo Pianosa. Per tutti gli addetti ai lavori semplicemente Piano, a causa della sua scarsa capacità di illustrare i progetti e delle sue difficoltà a far capire le proprie idee architettoniche alle maestranze. Nei cantieri di tutto il mondo le espressioni “Attenti, parla Piano” e “Arriva Piano”, infatti, non indicano atteggiamenti di riverenza verso il maestro, bensì, da un lato, il suo eloquio indolente e la sua vocina flebile, sommessa, sempre sottotraccia; dall’altro, la constatazione che i lavori da lui diretti procedono sempre a rilento.
Tornando allo specifico di questa attività, vanno sottolineate talune tendenze a dir poco strane. Sin dall’antichità esistono architetti molto invidiosi, chiamati architravi, dai quali ha preso origine un famoso detto di origine biblica: “Non guardare all’archipagliuzza che sta nell’occhio dell’altro quando hai una… calatrava nel tuo” (spiega lo Zinga, che “la calatrava, dal nome del noto archistar Santiago Calatrava, è la tipica architrave ricurva che l’architetto utilizza per creare gli archi che sorreggono un tetto”).
Un’altra specie da tenere alla larga è quella di chi a parole si prende l’impegno di arredarvi casa con gusto, salvo poi introdurre nella vostra magione, a spese vostre, oggetti orribili, di dubbio gusto e provenienza incerta: questi falsi architetti sono detti archibugi, perché inventano soverchie bugie su una professione che millantano senza scrupoli.
Quando gli architetti invecchiano vengono portati in un particolare luogo chiamato archivio, dove sono sistemati alla bell’e meglio su scaffali polverosi e ogni tanto consultati dagli architetti più giovani e inesperti. Esiste addirittura una scienza che si occupa di questi archi-vecchietti: l’archeologia. Per conoscenza e diletto di tutti, è giusto far sapere che esistono anche architetti che non solo disegnano tetti pieni zeppi di archi, ma pure li colorano: sono gli archi-baleno.
Architetti si nasce o si diventa? La vocazione a questa professione si può manifestare fin da piccoli, mostrando una passione esagerata per le favole. O meglio, per l’inizio classico delle favole: al solo sentire l’espressione “C’era una volta…” il futuro architetto resta estasiato e si addormenta di colpo, beato, sognando tanti tetti pieni zeppi di archi (e di volte).
Consigli utili. Alla professione di architetto meglio indirizzare gli uomini invece delle donne. Non stiamo parlando di maggior bravura o competenza, ma solo di sconvenienza. Per via del nome che viene ad assumere la professione, che al maschile fa architetto, mentre al femminile diventa architetta. Tuttavia, qualora una donna rimanga fortemente convinta di intraprendere questa professione, i requisiti intellettuali richiesti sono… che abbia fatto almeno la quinta (di reggiseno, s’intende!). Tra i requisiti richiesti, si badi che non è necessario saper suonare uno strumento musicale. Gli architetti non sono da confondere con gli archi dell’Orchestra della Scala. Infatti, abbiamo detto Scala, mica Tetto.
Un fitto e tremendo mistero avvolge la vita degli architetti: ma nell’arco di una vita, loro, quanti tetti (pieni zeppi di archi) disegnano?