Fantascienza è una parola straniera. Nel senso che declinarla in italiano è operazione paradossale limitata a pochissimi tentativi, spesso dilettanteschi o fallimentari, e che ha come unico nume di un certo rilievo quello di Antonio Margheriti, che con la sua serie di film degli anni 60 pare influenzò persino Kubrick per 2001: odissea nello spazio. Per questo, il tentativo dei Manetti bros con Larrivo di Wang, in sala dopo la presentazione al Controcampo italiano della scorsa Mostra di Venezia, è da accogliere con gioia.
Protagonista del film è Gaia, interprete di cinese che viene contattata per una traduzione urgente e segretissima: deve tradurre linterrogatorio al buio di un prigioniero, il signor Wang. Ma a un certo punto, lidentità del prigioniero è rivelata: è un alieno. Cosa ci fa sulla Terra? E cosa nasconde a Curti, presunto agente segreto incaricato dellinterrogatorio?
Scritto dai fratelli Marco e Antonio, il film cerca di uscire da quello che è il pantano del cinema di genere nostrano, considerato come una sorta di negozio di modernariato da prendere, citare, usare, copiare e solo nel migliore (e raro) dei casi reinventare, costruendo una storia originale con un piglio e uno stile del tutto personali.
Soprattutto restituisce alla science-fiction la sua vena più nobile, quella che le permette di filtrare la realtà, di plasmare e plasmarsi attorno al mondo restituendolo in forma immaginifica. Larrivo di Wang – nonostante le dichiarazioni degli autori cerchino di ridimensionare i sotto-testi – usa la metafora come pilastro centrale su cui costruire il suo racconto: la storia dellalieno incatenato, interrogato, non creduto, torturato e sospettato di terrorismo inter-planetario non può non costituire una riflessione sullimmigrazione e sul suo valore socio-politico (la scelta del cinese come lingua più parlata al mondo), sullocchio occidentale nel pensare e valutare il terrorismo, sulluso della tortura – da Bolzaneto ad Abu Grahib passando per lAfghanistan.
I Manetti compongono questo quadro con tensione e suspense che purtroppo si diluisce un po nella seconda parte e approdano a un finale ambizioso, rischioso, coraggioso nel ribaltare lottica delle quattro mura, ma anche contraddittorio rispetto ai temi e alla coerenza narrativa (anche se la battuta finale Sei proprio una cretina è già un mini-cult): ma il film, nonostante la mancanza di una credibile messinscena complessiva, non manca di idee di regia e di impegno nella realizzazione degli effetti visivi digitali e sa divertire lo spettatore nonostante (o forse in virtù?) gli intoppi della sceneggiatura.
E quelli della recitazione, perché spiace dirlo, ma la prova migliore è quello dell’alieno in computer grafica: e se alla giovane Francesca Cuttica si può anche perdonare una prova poco avvincente, stupisce che Ennio Fantastichini, amante della fantascienza, non riesca a entrare del tutto nel ruolo, nonostante l’impegno. Resta comunque un film interessante e da sostenere, a maggior ragione vista la decisione, forse troppo cauta, di distribuire il film in pochissime copie, nemmeno 10. Se lo trovate in giro, provate a dargli un’opportunità.