cè sempre qualcosa da scoprire, se si ha voglia di mettersi in caccia. Sabato mattina metto finalmente le mani su un librone comprato a fine dicembre: Nuova storia del jazz di Alyn Shipton, Einaudi. Un racconto denso, articolato, finalmente non aforistico del cammino del linguaggio jazz dalle origini a oggi: naturalmente storia di musicisti, di concerti, di band e di dischi. Mentre sfoglio saltando dalla musica delle piantagioni al jazz moderno, mi imbatto per lennesima volta nel mito di Charlie Bird Parker, anima misteriosa e potente del be bop, quella geniale, modernissima e velocissima scrittura di temi seguita da altrettanto inarrestabili improvvisazioni che fece voltar pagina alla musica nera fra gli anni 40 e 50.
No, non sono Kerouac e Ginsberg, non è la beat generation che voleva modellare la propria scrittura letteraria sui boppers che mi interessa stavolta, ma è la dolorosa parabola del genio Parker, spentosi poco più che trentenne per abuso di eroina, da cui sono stato di nuovo catturato. Colpa anche di quei meravigliosi The complete Masters 1941-1954 anchessi acquistati da Universal a fine anno, ma che avevo assaggiato solo per Billie Holiday, altra anima geniale bruciatasi troppo presto.
Allora: comincio dalla fascinazione per Hot House, tema modernissimo suonato da Parker e Gillespie in un malandato video recuperabile su Youtube, e riprende inarrestabile la passione per questa musica. Parker mi ha sempre stupito, come compositore e sassofonista contralto: un fraseggio incalzante che non ha più avuto paragoni, uninvenzione tematica (Koko, Anthropology) da togliere il fiato; una faccia rotonda e paciosa che non corrispondeva affatto alle note ascoltate. Così mi è venuta voglia di vederlo suonare (cosa mai fatta prima) e mi sono messo in caccia sulla rete.
Niente di filologico, giusto per colmare una lacuna, visto che non lavevo mai visto suonare (è morto lanno prima che nascessi, nel 54). Ma era tutto un falso video: dischi con corredo di fotografie. Poi finalmente il frammento di cui avevo letto nel libro di Shipton: 14 di girato di un film che non sarebbe mai nato. Una band fissa in studio, ben illuminata e ben registrata in audio, cui si aggiungono una dopo laltro star di prima grandezza del jazz moderno dei primi anni 50: Coleman Hawkins, Ella Fitzgerald e soprattutto lui: Charlie. una delle rare volte in cui twitto in rete un filmato:
Weekend travolto da The Bird. Per capirne la differenza ecco qui: Charlie Parker, Coleman Hawkins http://dai.ly/a5AW6V via @DailymotionUSA
Di quei 14’ minuti bellissimi, il diamante per capire perché per Charlie Parker spendiamo da sempre la parola genio sta tutto nei primi 4,5 minuti. Prima una ballad eseguita insieme da lui e da Hawkins. Il primo, con la sua bellissima voce al tenore fatta di lunghe note rotonde, ti rapisce per la sua bellezza; il secondo, Charlie, da subito ti introduce nel suo mondo vertiginoso: scale rapidissime, suono cristallino, modernità musicale abbacinante. Poi arriva il pezzo seguente, velocissimo: è la quintessenza del suo stile inarrivabile di improvvisatore.
Preciso come un orologio, appiombo ritmico formidabile, quadratura armonica sempre al limite e sempre magicamente rispettata. Non sono un jazzofilo, non mi interessa districarmi in diatribe stilistiche o filologiche: ma quel che adoro dopo in Miles Davis in termini di suono, invenzione tematica e modernità, qui è un altro mondo. Non è l’anticipazione del free che verrà – uguale velocità, timbro selvaggio ma senza alcuna quadratura armonica: oggi lo giudico un po’ troppo furbo… -: Parker è una sfida all’equilibrio delle 16 battute blues, è un horror vacui che lo spinge a riempire di note ogni 64esimo della partitura e insieme la tenuta di un suono bellissimo, pieno, che magari dopo una scala funambolica chiude su una bellissima lunga nota vibrata.
In più il video regala due altre notazioni: le mani ferme, “inchiodate” di Parker sul sassofono (oggi c’è una teatralità del gesto che è pura cortina fumogena) e la sua faccia furba di ragazzo buono e indifeso, che aspetta la fine di Hawkins per “fargliela vedere” ma poi, a cose fatte, si guarda in giro spaurito. Chissà cosa aveva dentro, questo trentenne cui il coroner al decesso attribuì, visto lo stato degli organi interni, fra i 50 e i 60 anni. Chissà quale demone lo agitava. Vederlo così, però, muove qualcosa dentro di profondo (un’amica pianista classica cui l’ho fatto vedere mi ha risposto proponendomi le meravigliose note delle Suites inglesi bachiane eseguite da Glenn Gould: altro funambolo della velocità e della perfezione a ogni costo. Lei, come io di Parker, parla di un dono ricevuto cui questi due matti sono restati fedeli finché hanno potuto. Riandando alle stesse Suites appena incise, peraltro al suo meglio, da Ramin Bahrami ho capito cosa voleva dire. Il genio è un po’ come lo Spirito: sceglie misteriosamente e noi non ne capiamo fino in fondo le ragioni: solo contempliamo).
Messa così, con questi precedenti, Ivano Fossati avrebbe tutte le ragioni per dirmi che così non vale… Eppure la conclusione della sua carriera ufficiale cui ho assistito poche sere fa al Piccolo Teatro Strehler di Milano aveva la bellezza di un compito portato a termine, di una parabola conclusa in bellezza. Ha fatto la sua corsa da rocker, produttore di dischi, autore, cantante e musicista pubblico, Fossati; adesso ha voglia di voltar pagina e continuare a scrivere, studiare, far musica senza alcuna impellenza contrattuale. È una scelta da rispettare, anche se era difficile l’altra sera crederci fino in fondo, visti i tweet che mi spingeva a scrivere:
– Addio alle scene di Ivano Fossati allo Strehler di Milano. Con lui la sound director Marty J Robertson. Finita davvero http://pic.twitter.com/ugyd5M90
– Una standing ovation interminabile per salutare allo Strehler di MI Ivano Fossati. C’è ancora un ultimo bis ma non riesce a cantarlo
– La larghezza potente di “C’è tempo” ci ricorda che l’introverso, misterioso Fossati può farsi epico, universale. Ma è proprio l’ultima volta?
– L’orologio americano mondo poetico e sonoro diverso: acustico, antico, senza alcun sentore di jazz/rock. E le parole scolpite 1 a 1. Fossati
– Fossatiani assenti tranquilli: con Duccio Forzano al comando di almeno 8 telecamere qui si sta registrando tutto. DVD in arrivo assicurato
– Addio Fossati allo Strehler MI: top Mio fratello che guardi il mondo piano/chitarra e i versi ritrovati di L’amore fa http://pic.twitter.com/mfMuW61L
Insomma, pare sia finita davvero. Ma non la sua voglia di fare musica, di scrivere, persino di rimettersi a studiare il pianoforte e altri strumenti. Altra musica di Fossati arriverà, statene certi. Prima o poi.