Laurea, lavoro, matrimonio, divorzio. O del farsi breve. Viviamo in un tempo per il quale ogni cosa va abbreviata all’estremo, pena essere tacciata di lungaggine. Già vent’anni fa lo scrittore Eric Hobsbawm con il suo saggio “Il secolo breve” ammoniva sulla svolta intrapresa dal nuovo corso della storia. E così è stato. Con conseguenze nella vita di tutti i giorni. Ci si iscrive all’università, e in un battibaleno il diploma! Si cerca un lavoro e, nei casi migliori, si può ambire a un posto a tempo determinato. Ci si sposa, e pum!!!, basta un nonnulla per far scoppiare un rapporto. Se si arriva alla separazione, con conseguente divorzio, ora è sufficiente recarsi in Comune per mandare all’aria una vita in comune. E sembrerebbe non finire qui: presto ci ritroveremo ad abbreviare “cose” fuori dalla nostra immaginazione.
Aprire una parentesi (breve, s’intende!) per scandagliare l’origine di questa compulsività nell’accorciare, restringere e compendiare diventa quasi un obbligo. Non si ricorra a Seneca e al suo De brevitate vitae. Non si trovino facili appigli nel noto aforisma di Oscar Wilde: “La vita è troppo breve per sprecarla a realizzare i sogni degli altri”. L’attuale tentazione spiccia di ridurre tempi e spazi è l’onda lunga (sic!) di un pensiero filosofico, rimasto per secoli sotto traccia, elaborato da un maggiordomo di palazzo, poi diventato re dei Franchi. Di chi stiamo parlando? Di Pipino il Breve.
Ultimo di quattro fratelli maschi (i tre maggiori erano Pipino Prisco, avvocato di corte; Pipino Di Capri, menestrello di corte; Pipino De Filippo, poeta di corte), Pipino era figlio di Carlo Martello, un padre assillante fino allo sfinimento, e di Isabella de Las Pinzas, una madre sì amorevole, ma ahimè sempre troppo propensa a stringere nella propria morsa i figli, in modo particolare l’ultimogenito, di tutti il prediletto.
Molto impulsivo già di suo, con un eloquio inversamente proporzionale alla sua altezza, Pipino era solito finire nelle ire del padre, che lo batteva come un chiodo sulla capocchia pardon, sulla testa. Forse per questo non ebbe mai un physique du role di stampo regale. Ciononostante, alla morte di Carlo Martello, ucciso con un sol pugno dal cognato Apople (da qui il termine colpo apoplettico), Pipino, sistemato a dovere il malvagio zio, ebbe in regalo dalla madre Isabella la Borgogna (ben 47 damigiane, che imbottigliò personalmente con le sue manine tozze e minuscole), la Neustria (area geografica che si estendeva dalla pugliese Santa Maria di Leuca fino all’austriaca Vienna) e l’Aquitania (antichi possedimenti di famiglia, facilmente localizzabili sulla cartina intorno ai comuni di L’Aquila, Aqui Terme e di Montechiaro d’Aqui).
Eletto re con una cerimonia breve e senza fronzoli, Pipino ebbe subito modo di consolidare il suo trono ampliando i confini del regno: sconfisse i Sassoni proprio sul loro terreno con una fitta sassaiola (geniale!), di seguito umiliò i Baschi con una manovra basculante così ardita e temeraria che i nemici nella resa ebbero modo di riconoscergli l’abilità militare con un convinto Chapeau!”.
Per una conoscenza maggiore della figura e dell’opera di questo singolare personaggio storico, vi rimandiamo alla sua opera autobiografica (mai portata a termine), intitolata De breviari. Pip Pip hurrà!” (“Il Breviario. Evviva Pipino il Breve!”) e scritta Brevi manu (scritta cioè “a mano dal Breve”). A un incipit letterariamente folgorante e autoironico(“Egomet, Pipinus, breve faciam”, vale a dire: “Io, Pipino, sarò breve”) fece seguito un testo non esattamente all’altezza, prolisso al limite della logorrea, al quale però dedicò una significativa parte della sua (breve, ne dubitavate?) esistenza.
La morte, avvenuta in circostanze misteriose, lo colse ancora nell’intento di chiudere la non breve prefazione. Secondo alcuni storiografi franchi, al Breve fu fatale un allungo (la vita è davvero beffarda!) durante una corsa nei campi. Secondo invece alcuni scritti attribuibili ai Merovingi (storici nemici dei Franchi, adusi a farsi beffe delle popolazioni con le quali si trovavano a guerreggiare), Pipino fu colpito al cuoricino (“cor parvulo”), per mera sfortuna, (“propter magnam sfigam”) da un minuscolo dardo (“sagittella”) scagliato dal merovingio Childerico.
Sin qui la storia, ma ora l’attualità che incalza. Con le sue fugacità, da raccontare brevemente!
La patente breve. Un elevato numero di automobilisti inesperti pone l’Italia tra i Paesi con alta percentuale di incidenti stradali. Ministero dei Trasporti e Motorizzazione Civile avrebbero dunque escogitato una soluzione: la patente breve, appunto. In parole povere, un documento da rinnovare – previo esame volante da effettuare al volante davanti a una volante della Polizia – a ogni incrocio, con un’unica deroga concessa per le autostrade, dove il rinnovo avverrà solo a ogni casello.
Il curriculum breve. Diciamocelo una volta per tutte, ammettiamolo senza mezze misure: i curricula nessuno li legge, sono diventati carta straccia da raccolta differenziata. Molto meglio allora un documento in plastica, simile a una tessera bancomat, sul quale riportare alcune informazioni essenziali: segno zodiacale, ascendente, squadra di calcio preferita, regime alimentare prediletto (vegetariano, vegano, astenersi carnivori, grazie!).
L’ergastolo breve. In un mondo che va di fretta, non è più possibile pensare che pene troppo lunghe siano la giusta punizione per chi sbaglia. La soluzione? Il cosiddetto ergastolino. Un anno di prigione, anche severa, se necessario. Poi, in caso di buona condotta, rilascio immediato. E in caso di ricaduta? Dentro per due anni, poi di nuovo fuori. Un terzo problema con la giustizia? Tre anni in gattabuia, prima di uscire nuovamente. Ci si ricasca per la quarta volta? Ma bene, bravo, bis! Beh, a questo punto se la galera a una persona non serve a niente, peggio per lui! Che si arrangi! Faccia da solo senza l’aiuto della legge: fuori a piede libero!!! Con l’ergastolino (1+2+3+4 anni, per un totale massimo di 10 anni, più altri tre di intervallo tra una pena e l’altra) il problema delle carceri sarebbe letteralmente risolto.
La scorciatoia. Detta così può sembrare una boutade, invece sarà – da qui a breve – la nuova unità di misura universale. Verrà utilizzata nella toponomastica come pure negli affari. Farà eccezione solo il tempo, quello cronologico, la cui unità non sarà più il secondo, ma l’attimino. Si “farà breve” anche l’ora, che diventerà l’oretta, a esclusione dei bagni pubblici negli autogrill, dove il calcolo del tempo a disposizione per i bisogni primari di ogni avventore sarà scandito da una nuova unità creata ad hoc: l’orina.
Breve conclusione. La prossima volta che scriveremo un pezzo che parla delle “cose brevi”, cercheremo di essere più brevi. Promesso!
(Come facciamo a essere così sicuri di mantenere l’impegno? Semplice, perché abbiamo inventato un metodo inedito, originale e rapido per essere brevi: infatti lo abbiamo… brevettato!)