La sanguinosa e non ufficiale guerra civile che per decenni ha bagnato lIrlanda di sangue è uno dei bacini di storie, eventi e personaggi più ricchi per il cinema, da Nel nome del padre a Michael Collins. Ultimo film a inserire un tassello in questo sanguinoso affresco è 71, primo lungometraggio di Yann Demange, regista francese trasferitosi con successo nel Regno Unito, che con questo film – vincitore del premio della giuria ecumenica alla Berlinale 2014 – pare quasi voler raccontare laltra faccia di Bloody Sunday, un altro esordio sul tema, stavolta firmato da Paul Greengrass.
Protagonista di 71 è un giovano soldato che nella Belfast divisa tra cattolici e protestanti viene ferito dopo una rivolta e abbandonato dai suoi commilitoni in ritirata: dovrà lottare per sopravvivere, tra diffidenza dei cittadini e solidarietà inaspettata, ma maturerà anche una precisa consapevolezza politica.
Scritto da Gregory Burke, 71 è un dramma storico dalle forti ascendenze carpenteriane (unità di tempo, luogo e azione, senso di assedio) che fa sfumare un impianto da film di guerra in ambiente urbano prima in un gangster movie, poi in un nerissimo western e, infine, in una riflessione politica la cui iconografia ricorda quella dellhorror.
E proprio in questo scivolamento tra vari registri, generi e suggestioni che sta il valore del film di Demange: riducendo ad archetipi ben inscritti nellimmaginario collettivo le figure del racconto e presumibilmente personaggi allinterno di eventi plausibili e riconoscibili, il regista sembra voler riflettere sul valore di quegli archetipi allinterno della nostra società svelandone il valore politico. Prendere militari, terroristi e poliziotti e trasformarli in figure come il gangster e la spia, lo sceriffo e il bandito, il potente corrotto e il ribelle significa poter usare il cinema e i suoi meccanismi per filtrare la storia, usarli per provare a capire le complessità in gioco, ma anche dare un preciso giudizio di valore sugli attori in campo, in primis i presunti buoni.
Unoperazione forse ambigua, che rischia di spettacolarizzare in maniera vuota e schematica le questioni in ballo, ma che colpisce nel segno per la capacità di Demange di tratteggiare i personaggi umani, ovvero quelli che si trovano in mezzo alla battaglia senza voler giocare ruoli prestabiliti, come lo stesso protagonista di cui segue il percorso di formazione civile, ma anche labilità di usare immagini (splendida fotografia notturna di Tat Radcilffe), musiche (David Holmese) e montaggio (Chris Wyatt) per creare tensione e suspense.
‘71 sembra una sorta di remake irlandese di Distretto 13 di Carpenter e proprio come il maestro americano Demange riesce a veicolare discorsi e concetti attraverso il genere e – viceversa – usare i meccanismi narrativi più apparentemente standard per riempirli di senso. Un’opera prima promettente e fiammeggiante, un biglietto da visita come si deve.