Dovrebbe far riflettere che il lieve morbo della parodia, della citazione ironica, dell’omaggio cinefilo abbia coinvolto anche l’animazione. Dopo ParaNorman, Grindhouse per bambini sul cinema anni ’60 e ’70, l’operazione risale ancora più indietro nel tempo con Hotel Transylvania, animazione in 3D diretta da un mezzo genio come Genndy Tartakovsky e ispirata alle pellicole horror classiche, quelle della Universal degli anni ’30.
La storia vede Dracula che apre un albergo di lusso per mostri e lo inaugura il giorno del compleanno della figlia, il giorno in cui la piccola raggiunge la maggiore età. Ma anche il giorno in cui per caso, oltre a tutti i mostri possibili, arriva un umano viaggiatore: e gli umani sono la cosa che il conte teme di più, dato che gli hanno ucciso la moglie, secoli prima.
Scritto da Peter Bayman, Robert Smiegel, Todd Durham, Dan e Kevin Hageman, Hotel Transylvania è una classica commedia familiare di stampo disneyano, su temi simili a quelli di Alla ricerca di Nemo, declinati però secondo una vena comica e cinefila che rielabora decenni di cinema horror e di creature spaventose. Ornamenti che servono a Tartakovski per un racconto di formazione paterno, su come un genitore dovrebbe affrontare le proprie paure per non rischiare di trasmetterle ai figli e di come i pargoli andrebbero lasciati liberi di capire la loro strada e seguire le aspirazioni, esplicitamente lasciandoli liberi di viaggiare e andarsene a scoprire la vita per poi tornare; senza dimenticare il grande classico del cinema animato sul capire e accettare gli altri e le proprie differenze.
Più interessante e sottile è la descrizione dei rapporti con gli altri in chiave di messinscena e travestimento, di elaborata bugia: se Dracula ha costruito un finto villaggio in cui gli zombie fingono di essere umani sanguinari per spaventare la figlia Mavis, il rapporto tra lui, l’umano Jonathan e gli altri mostri (tra cui il più divertente è l’Uomo lupo con moglie e devastante prole al seguito) è costruito come una commedia slapstick in cui il ragazzo deve fingersi cugino di Frankenstein. E il finale non a caso è legato a Halloween, ossia a una festa in cui gli umani si travestono da mostri.
Questo gioco di maschere ed equivoci scatena la verve di un film che parte fin troppo piano e placido, chiuso dentro schemi troppo noti, ma che con l’arrivo del personaggio estraneo riesce a far esplodere momenti di comicità notevole, come la gara dei mimi con l’Uomo invisibile. Il resto è routine ben confezionata e riempita di musica discutibile ma giovanile, che potrà disturbare i non appassionati, ma che a suo modo funziona, come dimostrato dagli incassi.
Resta il dubbio su come i bambini o i ragazzi possano apprezzare citazioni e parodie che non gli appartengono, ma evidentemente è una questione di lana caprina che può interessare solo al critico o al limite al sociologo.