Cosa sarebbe un film dell’orrore se lo spettatore potesse vivere il terrore dei protagonisti così da vicino da sentire il respiro dell’assassino realmente al suo fianco? Per quanto negli ultimi anni si sia arrivati ad alti livelli qualitativi, alla base del cinema in tre dimensioni c’è una tecnologia che non si scosta di molto da quella teorizzata da Hugo Mustenberg nel suo libro The photoplay – a psicological study (1912): la percezione di profondità, che noi abbiamo della realtà che ci circonda, è data dalla possibilità di vedere gli oggetti da due angolature leggermente differenti. Questo per via della distanza che intercorre tra l’occhio sinistro e quello destro. Mustenberg allora ipotizzava l’utilizzo di due macchine da presa poste a poca distanza l’una dall’altra con gli obbiettivi di due colori diversi – ad esempio rosso e verde – per filmare un oggetto e proiettare entrambe le pellicole sovrapponendole. Avremmo potuto vedere l’ immagine così ottenuta con un reale effetto di profondità – se la si fosse guardata con occhiali le cui lenti colorate rispecchiassero il colore degli obbiettivi.
Insomma: Mustenberg parlava di quello che noi tutti abbiamo sperimentato con gli album di figurine dei dinosauri, con quelle strane immagini apparentemente tutte sfocate che, se viste con gli occhialini a lenti rosse e verdi, sembravano uscire dalla pagina.
Siamo arrivati ad oggi: San Valentino di Sangue – 3D si pone come ultima frontiera dell’horror (come se già con Lo squalo, Venerdì 13 ed Amityville non si fosse tentata la strada del 3D) proponendo una visione in cui è lo spettatore, come le vittime, ad essere preso a colpi di piccone dall’assassino. Il successo al botteghino gli dà ragione, ma, a ben vedere, non c’è una persona che scrivendo a riguardo ne abbia parlato bene. Sorge dunque la domanda se la vera qualità di questo film non sia il trailer: mostrando immagini estremamente accattivanti riguardo alle potenzialità del 3D, illude ed amplifica i pochissimi elementi di valore del film.
Se la nuova tecnologia possa rappresentare una svolta nell’intrattenimento cinematografico e se il genere horror ne possa trarre davvero un tale giovamento è ancora presto per dirlo. E’ tuttavia possibile fare un’importante considerazione: il cinema è un linguaggio, con una sua grammatica e una sua punteggiatura che vengono declinate a seconda delle esigenze dei film o dei registi.
Il digitale 3D attraversa trasversalmente tutti i generi e tutti gli stili (basti pensare che a fianco di My Bloody Valentine – 3D sono usciti ed usciranno al cinema molti altri film d’animazione in tre dimensioni), risulta quindi necessario rielaborare il modo di raccontare una storia affinché si possa trarre il maggior giovamento da questa nuova tecnologia. Nel caso del film in questione, a parte qualche scena che sembra appiccicata giusto perché dovevano metterci l’effetto di “sfondamento dello schermo”, per tutta la durata della pellicola si assista a nulla di diverso da un banalissimo film dell’orrore: inquadrature, messa in scena, scenografie, tutto è assolutamente bidimensionale (se non fosse che lo sfondo appare più “staccato” dalle figure in primo piano che non in un film normale) e la sceneggiatura procede piatta e monotona sulla via del cliché. Neanche a farlo apposta avrebbero potuto girare un film che contenesse così tante negazioni del 3D, portando lo spettatore a percepire più un fastidio che un gusto nella visione.
Le tre dimensioni sono una frontiera estremamente potente per il cinema di genere: soggettive dell’assassino che trasmetto un senso di compartecipazione all’atto omicida; non più solo lo spettatore che entra nel mondo al di là dello schermo, ma l’altro mondo che si protrae al di qua, chinandosi minaccioso sulla platea; ma questo dev’essere declinato nel linguaggio del film e non semplicemente appiccicato, altrimenti non varrebbe più di un giro sulle montagne russe. L’animazione digitale e qualche film, in questi mesi ci hanno dimostrato che questo è possibile: che la spettacolarità può essere funzionale al film nel suo complesso, senza pretendere di bastare da sé.
Ma resta ancora da vedere se il 3D è davvero così malleabile come si pensa e se anche altri film sapranno coniugare la nuova profondità del vedere con una rinnovata profondità del raccontare.
(Andrea Cassina, Sentieri del Cinema)