“Bernardini sostiene che…” è la nuova rubrica de IlSussidiario.net a cura di MASSIMO BERNARDINI. Un viaggio tra cinema, televisione, letteratura e musica. Tutto il meglio (o il peggio), incontrato, visto o letto durante la settimana.
… le buone intenzioni non bastano. Domenica sera ho chiuso l’ultima pagina de “La valle delle donne lupo” di Laura Pariani – scrittrice da me prediletta perché fra le poche ad accettare ancora la sfida di una lingua da cercare, da reinventare – e ci sono rimasto male.
Quel suo racconto spietato del mondo montanaro: duro e scontroso, aspro ma sincero, si chiude nel buio, senza uno spiraglio di luce. Vera la durezza di quel mondo antico spazzato via dal consumismo, veri i suoi riti arcaici e oppressivi soprattutto della donna… Ma mi aspettavo che il soffio finale dell’amicizia fra le due donne prese a schiaffi dalla vita e finalmente, dopo tanto patire, libere di vivere insieme fra i monti del Paese Piccolo fosse il segno di un destino finalmente buono. Invece no, finale duro e gelato, come la neve che copre l’ultimo respiro della Fenisia.
Durezza che ho ritrovato anche nel già discusso “J. Edgar” di Clint Eastwood, ma per tutt’altre ragioni. Il grande vecchio – ormai – Clint si deve essere innamorato della biografia del fondatore e padrone dell’FBI, e ha voluto raccontarla, senza nascondere niente, per ben 138’. Per i primi 60’, a partire dagli anni seguiti alla Grande Guerra, seguiamo il nostro oscuro “eroe” dell’antisovvertivismo e di ogni antiamericanismo nei suoi anni di formazione, fra personaggi e vicende che in buona sostanza ci sono estranei. Confesso persino un breve pisolino, in questa parte. Poi, man mano che la storia dell’onnipotente Hoover si intreccia con le vicende di Roosvelt, dei Kennedy, di M.L.King, fino al suo liquidatore Richard Nixon, sia le vicende le sentiamo più nostre sia lo scandaglio privato del personaggio si fa sempre più affascinante.
Insomma, ci fossero stati i produttori della Hollywood di una volta, l’avrebbero tolto a Eastwood e tagliato almeno di un quarto, rendendo “J.Edgar” il grande film che avrebbe potuto essere e invece purtroppo non è.
Ci voleva quel mondo un po’ padronale ma attento ai gusti del pubblico della Hollywood anni Venti-Trenta cui ci ha riportato sorridendo “The artist”, capolavoro di grazia e finezza che rilancia a sorpresa il cinema muto. Solo una domanda però: quanto siamo in fuga dal nostro incomprensibile presente, così da tornare divertiti e plaudenti allo snodo del passaggio fra muto e sonoro che fu già il punto di partenza di un capolavoro come “Singin’ in the rain”, anno di produzione 1952 (!!!)?
Passato per passato allora è meglio entrarci mani e piedi e chiamarlo Tradizione, come è successo a me per l’Epifania riascoltando quel monumento di bellezza e invenzione che è il Weihnachtsoratorium (l’Oratorio di Natale) di Johann Sebastian Bach, divenuto una bella tradizione dell’Orchestra Verdi Barocca diretta da Ruben Jais.
Corpo possente che raccoglie in una maratona dalle 17 alle 23 le 6 cantate composte da Bach per il periodo natalizio del 1734-1735, ti fa inoltrare in una selva di arie, recitativi e corali di imponente bellezza. Ma quel che più mi colpisce sono, accanto alla ricchezza del testo evangelico musicato nei recitativi, la scrittura dei corali, questa struggente forma musicale collettiva/personale cui alla perfetta cantabilità “comunionale” corrispondono gli struggenti testi in prima persona di Picander, il librettista anche delle Passioni bachiane. Ve ne offro un assaggio.
“Come devo accoglierti, e come incontrarti? O desiderio di tutto il mondo, o gioiello della mia anima! O Gesù, Gesù!”
“Lode, onore e gloria, perché tu, ospite da lungo tempo desiderato, finalmente sei arrivato”.
“Io ti voglio custodire con cura, io voglio per te vivere qui, per te voglio partirmene, con te voglio infine salire pieno di gioia senza tempo là nell’altra vita.”
“Gesù, guida ogni mia iniziativa, Gesù, rimani sempre a me vicino, Gesù, modera i miei sensi, Gesù, sia tu il mio solo desiderio, Gesù, sia tu nei miei pensieri, Gesù, non lasciarmi vacillare!”
“Davvero questa dimora che è il mio cuore non è un bel palazzo principesco, ma piuttosto una grotta buia; ma non appena la luce della tua grazia in quella brillerà, essa risplenderà piena di sole.”
Mentre li ascoltavo, e grazie agli schermi dove le traduzioni campeggiavano nel bell’Auditorium Cariplo della Verdi su soli, coro e orchestra, pensavo a quanto anche questa dolce e commovente lingua liturgica del luteranesimo sia oggi perduta. Ascoltavo commosso e pensavo alla lingua e alla tavolozza espressiva dei telepredicatori urlanti delle sette neoevangeliche dominanti oggi negli Usa e nel mondo…
Qualcosa di simile ai pregiudizi con cui mi sono accostato il 4 gennaio alla prima puntata de “Il tredicesimo apostolo”, fiction in ben 12 episodi per 6 prime serate di Canale 5.
Su Wikipedia i produttori hanno sintetizzato così le ragioni della storia e il suo plot: “Gabriel Antinori (Claudio Gioè) è un giovane prete e professore universitario di teologia. Amato dai suoi studenti per la sua intelligenza anticonformista, Gabriel si occupa di esplorare i confini fra scienza e fede studiando il mondo dei fenomeni definiti paranormali. Mosso dal desiderio di esplorare i misteri della vita, Gabriel collabora con la Congregazione della Verità, un’istituzione ecclesiastica che verifica eventi razionalmente inspiegabili. Gabriel non è un investigatore dell’occulto ma un uomo di fede, scevro da pregiudizi e chiusure, che vuole comprendere il fenomeno che ha davanti a sé soprattutto da un punto di vista umano. Scoprirà presto sulla sua pelle che è la stessa natura umana ad essere messa in gioco nel paranormale, grazie all’incontro con l’affascinante psicologa Claudia Munari (Claudia Pandolfi). Claudia ha un atteggiamento più scettico di Gabriel, crede nella potenzialità della mente umana più che nel divino. Fra di loro scatta una forte attrazione, e la loro collaborazione creerà un’alchimia speciale, che può nascere solo dal seducente confronto tra razionalità e fede, tra scienza e spiritualità”.
Come mi accade spesso per lavoro e pratica da social network, parto per il consueto “live twitting”, e il 4/1 commento la messa in onda in diretta: Ecco il risultato:
–“Provo a seguire #iltredicesimoapostolo su Canale 5. Giovane gesuita teologo sulla moto vaga per la campagna ma sappiamo già di infanzia hard”
-“#tredicesimoapostolo della TaoDue di Valsecchi: buona sceneggiatura di Lorenza Ghinelli, asciutti Pandolfi e Gioè, regia Alexis Sweet ok (quattro giorni dopo, sempre attraverso twitter, scoprirò che a firmare i primi due episodi sono stati Nobile, Curcio e D’Agostini)”
-“Gioé gesuita moderno: moto, kayak, camerina digitale e pc”
-“Strana scrittura a episodi: chiamano il gesuita nei sacri palazzi per episodi controversi e lo mandano in missione”
-“Sia Gioé che la Pandolfi vanno di recitazione fredda, senza enfatizzare i loro personaggi”
-“Coppia investigatori dell’ignoto con infanzia difficile; più 2 preti uno IN altro OUT; più 2 studenti aiuto di Gioé”
-“Secondo episodio #iltredicesimoapostolo più complesso ma più standardizzato alla Dario Argento. Gabriel va nell’aldilà per salvare girl”
Il giorno dopo, il 5, arrivano i risultati di ascolto, un trionfo: una media oltre i 7 milioni di telespettatori, uno share sul 27 che Mediaset con la fiction non raggiungeva da anni. Intendiamoci, non è un capolavoro, ha i suoi bei scivoloni alla Dan Brown (ma più rispettosi), i suoi stereotipi volontari e involontari. Ma staremo a vedere il seguito con attenzione.
Di rimbalzo, poi, per via di un fugace capodanno a Sils Maria, nella Svizzera dei Grigioni, mi ritrovo nella casa che frequentò da maggio a ottobre per almeno 7 anni Friederich Nietzsche, e per vie traverse la cosa mi porta a ripercorrere il difficile rapporto fra il filosofo e Richard Wagner. Tornato ai miei libri milanesi, la cosa mi fa mettere il naso in uno spettacolare saggio di Thomas Mann del 1933, “Dolore e grandezza di R.Wagner”, che costó a Mann esilio e messa al bando hitleriane dopo una pubblica lettura all’Università di Monaco. “Acutezza profonda” è la definizione che ne ho lanciato via twitter il 6/gennaio all’alba, finitane la lettura (E’ reperibile nel Meridiano Mondadori “Nobiltà dello spirito”). La lunga lettura mi ha riportato a una pratica che non facevo da anni: la trascrizione di alcune frasi del saggio, che vi allego. Mi sembrano il segno di una intelligenza critica, e di una potenza di scrittura nell’applicarla, che è davvero una scuola cui vale la pena di mettersi in sequela.
-“Arte teatrale è giá per se stessa arte barocca, cattolicesimo, Chiesa…
(Wagner) doveva finire per sentirsi fratello del sacerdote, sacerdote egli stesso”
-“La musica di Wagner non è in tutto e per tutto musica… È psicologia, simbolo, mitologia, enfasi…tutto, ma non musica nel senso puro e pieno… era un pensiero acustico… Era lo sfruttamento prepotente e dilettantesco della musica per la rappresentazione di un’idea mitica… Il genio di Richard Wagner è fatto di soli dilettantismi. Ma di quali meravigliosi dilettantismi! Wagner è uno di quei musicisti che convertono alla musica anche le persone non musicali”
-“È la musica di un’anima oppressa, che non si rivolge con ritmo danzante ai muscoli, ma che al contrario è uno scavare, un trascinarsi, in urgere pieno di nordica pesantezza e fatica”
-Wagner a Liszt: “Il cuore ha dovuto prendere il posto del cervello e la mia vita diventare artificiosa: io non posso più vivere altro che come ‘artista’; nell’artista è naufragato l’uomo”
-Wagner mentre sta finendo Tristano: “Solo esecuzioni mediocri possono salvarmi! Quelle perfettamente ‘buone’ farebbero impazzire la gente…”
-“La sua (di Wagner) serietà artistica è ‘serietà nel gioco’, ed è di carattere assoluto; quella intellettuale, viceversa, non è assoluta, poiché è una serietà finalizzata al gioco. Anche per questo l’artista e sempre pronto, quando si trova fra colleghi, a schernire la propria solennità”.
-“Egli non è un poeta né un musicista, ma una terza cosa in cui si fondono in modo inusitato quelle due doti, e cioé un Dioniso teatrale capace di dare fondamento poetico a inauditi processi espressivi e, in una certa misura, di razionalizzarli”
-“L’inscinscindibile mescolanza di demonismo e spirito borghese… Chi potrebbe negare che in qualche modo il raso è presente nell’opera di Wagner?… Non fu insomma il lusso estremo della sua musica a buttargli fra le braccia le folle borghesi?”
-“Wagner fu abbastanza buon politico da associare la sua causa a quella del Reich bismarckiano: vide un successo inaudito e vi accordó il proprio”
Ma la sera del 6 gennaio mi aspettava la prima sfida del sabato tv generalista del 2012: Ballando con le stelle (Raiuno) contro Italia’s got talent (Canale 5). Vi trascrivo quasi tutti i miei tweet di quegli interminabili 230’ di televisione.
-Prima notazione tecnica: confezione e regia di #ballandoconlestelle sono decisamente più raffinate di #italiasgottalent. Vedremo.
-I giornalisti sbracano a #ballandoconlestelle e i sassofonisti si spogliano a #italiasgottalent: un normale sabato sera italiano in tv
-Peró #italiasgottalent si trasforma troppo facilmente in corrida dei poveri
-Vi prego, Mozart violentato a #italiasgottalent no, vi prego no. Non si puó fare proprio tutto. Tv culturalmente irresponsabile (una signorina si esibisce in una danza africana sull’aria della regina della notte ne “Il flauto magico” di Mozart)
-Analogie: sia #ballandoconlestelle che #italiasgottalent ruotano sui due cardini esibizione/giuria, ma il secondo elemento rischia banalità
-Pregiudizio su Pistorius a #ballandoconlestelle: caso umano travestito da caso esemplare. Spero di ricredermi
-Invece Lucrezia (Lante Della Rovere), ballo o non ballo, è di una bellezza indiscutibilmente intrigante. Basta vederla col fiatone a #ballandoconlestelle
-La dolcezza di un bel numero da oratorio a #italiasgottalent. La giuria bamboleggia ma li premia (una compagnia amatoriale di danza in silouette)
-Arrivati alle 23 comincio a soffrire il modulo extralarge di #ballandoconlestelle e #italiasgottalent. Ma ho uno scopo: #tvtalk del 14/1
-Rivera a #ballandoconlestelle come Mozart a #italiasgottalent? Diamanti che non si toccano, memorie sacre. Sono un reazionario consapevole
-Non mi vedrete mai criticare le strutturate e polemiche riflessioni di Giletti a #ballandoconlestelle, mai e poi mai
-L’angelico visino di Ria a #ballandoconlestelle o il pizzarolo acrobata a #italiasgottalent? Mah
-Ma no, no, no! Non il pianoforte sotto il pizzarolo commosso per la morte del padre a #italiasgottalent
-Da agnostico del calcio so solo che Vieri a #ballandoconlestelle non è un golden boy
-Ecco #italiasgottalent Corrida al quadrato con due poveri vecchi. E Belén e Il figlio di Walter Chiari son lì per nulla. Ma il format dov’è?
-Il ritmo indiavolato con cui è stato montato in postproduzione ha tolto calore e pathos. #italiasgottalent è diventato sbrigativo
-Io, se fossi Dio, imporrei a tutta la tv italiana, da #ballandoconlestelle a #italiasgottalent, l’abolizione della parola “emozione”
-Pistorius a #ballandoconlestelle: cosa deve essere per un disabile alle gambe alzare una ballerina! Fermiamoci qui stop alla retorica please
-Pistorius a #ballandoconlestelle: spolpare l’osso, peró Carlucci si astiene. Poteva andar peggio, ma sottoporlo ai voti è stato ridicolo!
-Alé, dileggiamo un po’ tutto, anche gli insegnanti di religione a #italiasgottalent. E la giuria si esibisce in un falso/vero rispetto
-E con #ballandoconlestelle e #italiasgottalent veleggiamo verso il mattino. Mannaggia, anche il 2012 con show da 200′. Finirà mai?
-Giuro che mi rimangio tutte le critiche al primo che finisce fra #italiasgottalent e #ballandoconlestelle
-Alle 00:38 ha chiuso #italiasgottalent, che ha cancellato così tutti i suoi peccati.
-Alle 00:42 ha chiuso anche #ballandoconlestelle. Mannaggia alla gara del sabato a chiudere un po’ più in là dell’avversario per fare share!
La mattina dopo twitto anche gli ascolti:
-Sfida vinta da #ballandoconlestelle: 5.949.000 e 26,51 di share (sempre 2,3 punti sopra #italiasgottalent) top pubblico old da elementari
–#italiasgottalent per 5.264.000 al 22,92, top pubblico fra le fasce più giovani e con scuola media