Dopo anni di sceneggiature, Tony Gilroy si appropria fino in fondo della serie di Bourne da lui inventata sulla scorta dei romanzi di Robert Ludlum e ne dirige il 4 episodio, con una significativa variazione: anziché seguire loriginario personaggio del romanziere, esplora un filone parallelo – quasi fosse uno spin-off – in The Bourne Legacy, con cui il regista di Duplicity cerca di riavviare la serie dopo i fuochi dartificio di Paul Greengrass.
Il protagonista è Alex Cross, soldato manipolato proprio come Jason Bourne, ma facente parte di un programma parallelo, migliorato e più consapevole. Solo che per evitare che le testimonianze del processo nato dai primi 3 film svelino segreti importanti anche in questaltro contesto, si decide di insabbiare tutto e uccidere agenti e scienziati: Cross e la dottoressa Shearing – gli unici sopravvissuti – devono cercare di salvarsi la vita.
Gilroy – alla terza regia – scrive col fratello Dan un thriller dazione tra spionaggio e fantascienza, che sembra uscito contemporaneamente dagli anni 70 delle cospirazioni e dagli anni 00 degli effetti tonitruanti e del montaggio sincopato, un film che vorrebbe giostrarsi tra il sostrato etico di Michael Clayton e gli stunt contemporanei, ma non riesce ad amalgamare le due cose. Il film infatti cerca una partenza a suo modo più profonda rispetto agli altri 3 della serie provando a calcare la mano soprattutto sul lato morale del racconto: da una parte, i soldati costruiti come mangiapeccati, ossia quelli che si sporcano di nefandezze per ripulire le coscienze dei loro governi; dallaltra, gli scienziati che si sentono in pace con se stessi solo perché eseguono ordini, ma fanno ricerca in campi ad alto tasso di rischio.
In questo senso, Gilroy svolta dolcemente sul coté fantascientifico ed è una buona idea, ma quello che manca è la compattezza e lunità dintenti. Laccuratezza, persino troppo meticolosa, dellintreccio nella prima mezzora – con tanto di flashback superflui a raccontare il rapporto tra Norton e Renner o il ruolo effettivo della dottoressa – è poco supportata dal tocco registico e così sembra solo prolissità; al contrario, quando la sceneggiatura assume un tipico schema a blocchi, vicino al videogame, il film appare tirato via, quasi sciatto, eccetto gli stunt – soprattutto nella sequenza dinseguimento delle Filippine – in cui però si perde ogni tipo di controllo, strizzando goffamente locchio agli action anni 90 con cyborg e simili, che proprio nelle Filippine venivano girati.
Per fortuna che Jeremy Renner – ormai perfetto a questo tipo di ruoli dopo l’exploit in The Hurt Locker di Bigelow e la prova generale di Mission Impossible 4 – e la dolce Rachel Weisz si contrappongono e riescono a far saltare fuori, soprattutto l’attrice, il lato umano dei personaggi, facendo apparire sprecato e poco coinvolto Edward Norton (che infatti è stato convinto dalla produzione con qualche difficoltà). Ma poco si può per sollevare un film che più che un rilancio, sembra un memorandum svogliato.