Nientaltro che una favola, bella, divertente, e forse un po inquietante. il nuovo film di Giancarlo Giannini dal titolo Ti ho cercata in tutti i necrologi. Perché il cinema è finzione, e altresì è il luogo allinterno del quale puoi dar sfogo alla fantasia, così come abilmente Giannini ha fatto. Anche regista stavolta, oltre che interprete di Nikita, personaggio primo della storia, accompagnato per tutto il racconto da una serie di sfide, prima con se stesso, poi col Destino e col senso di qualsiasi cosa lo circondi, sempre a braccetto della fida compagna di set Silvia De Santis, dalla recitazione impeccabile e dalla riscoperta vena musicale, che la porta a interpretare nel migliore dei modi Helen, pazza, artistica e strana, falsa.
Nelleccezionale cast di questo nuovo cinema alternativo che pienamente si sfoga in verve di passione, creatività e fantasia in un capolavoro dellimmaginazione, anche il bravissimo Murray Abraham, che con una sottile e perfetta comicità seria, o seriale come quella dei killer, ci fa conoscere un amico-nemico, Braque, tanto ambiguo quanto tenebroso. Una storia di vita, e di scommessa, uno scambio di posizioni, che portano dallessere preda a predatore, da sconfitto a vincitore, sino ad arrivare a sconfitta scelta, e quindi comunque vinta.
Nikita, trasportatore di anime, o più semplicemente dipendente capo di unagenzia di pompe funebri, conosce cadaveri ogni giorno. Unico svago, finito il turno di lavoro, quello del poker, con qualche dollaro in banco per poter perdere. ma non troppo, così da costruirsi – o più semplicemente comprarsi – giorno per giorno, tutti i sogni che ci si era programmati, come una delle più belle Mercedes in commercio. Proprio a un funerale, però, Nikita verrà a conoscere persone che in fatto di gioco dazzardo ci sanno fare e che, quasi da un secondo allaltro, lo catapultano in una situazione pari allaver perso 35mila dollari.
Risanare il debito è più semplice, si fa per dire, di quanto lo stesso Nikita creda; nascondersi, quasi fosse un rincorrersi, e non farsi acchiappare. Letteralmente, perché questo gioco è particolare; viene chiamato La caccia, alluomo si intende, che termina con un morto entro 20 minuti, perché se non ti nascondi bene, in quei 20 minuti – che sembrano pochi, ma sono tantissimi – i cacciatori ti cercano, con fucili carichi e torce alla mano, e ti ammazzano. Ma se, come Nikita, sei abile nel confondere le tracce, corri forte, e sfidi il coraggio e la paura, i cacciatori non ce la fanno a scovarti, quindi tu sei (fisicamente) salvo, o comunque ancora vivo, e il tuo debito è cancellato, perché non ti hanno trovato.
Ma l’onnipotenza dettata dall’essersi salvato durante la prima caccia ufficiale, porta Nikita a una situazione mentale e psicologica particolare. Forse impazzisce, o forse no, però qualcosa accade. E, al contrario, prende in mano le redini del gioco, e della vita, decidendo di proporre, a sua volta, un cambio di programma: stessi cacciatori e stesse regole. Però “sono io che mi faccio cacciare” dice. E “se non mi ammazzate mi date dei soldi”. I cacciatori accettano, e qui prosegue, o epiloga, o forse inizia, la fiaba che Giannini ha pensato, creato e portato sul grande schermo.
Un Nikita che, giorno dopo giorno, caccia dopo caccia, fatica a separare ragione e onnipotenza, gioco e realtà. Continua a vincere, e si compra la Mercedes. Ma come canta Luciano Ligabue, “il Destino ha la sua puntualità” e Helen, una delle cacciatrici che da settimane ormai cerca di ammazzarlo senza risultato, decide di conoscere da vicino la sua preda. Inizia a fingere, di volersi far dare un passaggio, di volerlo amare, Nikita, che non sa quella essere una cacciatrice, perché “mai loro si scoprono il volto”, li conosci dai fucili. Un nuovo gioco che prosegue, forse inizialmente considerato solo effettivamente tale, ma che come quello della caccia porta però a ferire, e non solo letteralmente ma anche e soprattutto in materia di sentimenti, sia Nikita, che più sopravvive più impazzisce – nel modo più divertente del termine -, sia Helen che si sente dire che fa schifo, perché “rappresenta la morte, e per questo desidera uccidere”.
Solo sull’epico finale del film, però, tutto si ribalta. Spunta un costume, da coniglio, perché “il cinema è un gioco e il coniglio mi è sempre piaciuto”, ha spiegato Giannini. E l’ultima, fatalissima, caccia. Nikita, vestito da coniglio per l’appunto, chiede stavolta, a Helen, di essere trovato, e ammazzato, da lei. Perché “il Destino ha voluto che l’unica pallottola che mi abbia mai sfiorato sia stata sparata da te. Quindi ora uccidimi, oppure mi uccido io” dice arrabbiato, innamorato e fuori di sé. E Helen si commuove, perché è quella la dichiarazione d’amore più bella che abbia mai ricevuto.
Un film che, di primo acchito, potrebbe sembrar inquietante, ma che, se visto sotto l’ottica cui lo stesso regista lo racconta, non è altro che divertimento e immaginazione, ai limiti estremi di pazzia, e follia insieme. Un viaggio mistico attraverso filo spinato e pallottole, perché lo stesso Nikita ripete più volte che sarà la fine, ma non sarà la fine, perché morirà ma vivrà ancora, e ancora, e ancora.
Un capolavoro per il cinema italiano che, anche grazie a una pellicola come questa, ha l’ulteriore possibilità di riscattarsi in un universo geniale – e forse un po’ perverso -, come la mente di Giannini nell’ideare un lungometraggio tanto simpatico, quanto tenebroso e pazzo. Ricitando la troppo sfruttata “Tutti i migliori sono matti” di Albert Einstein, si può quindi dire che Ti ho cercata in tutti i necrologi è un film che merita, tanti applausi e tanti buoni aggettivi. Uno dei film più matti-migliori degli ultimi tempi. Viva viva il cinema italiano, anche stavolta. Un applauso.
(Ciliegina sulla torta: un finalissimo stile cartone animato, con due coniglietti teneri che si rincorrono, e una volpe che da lontano li scruta. “Proprio per far capire che è una favola, una cosa da sorridere”, ha detto ancora Giannini. Così come testimonia la colonna sonora, divertente e sempre felice, nonostante le scene forti e paurose dell’azione sanguinosa nel film).