Dopo La tigre e il dragone di Ang Lee, il viaggio nel cinema cinese prosegue con due pellicole di Zhang Yimou, Hero e La foresta dei pugnali volanti. Grande e originale interprete del genere wuxapian, il regista ci ha regalato nel 2002 e nel 2004 una coppia di film in un certo senso complementari, che pur affondando nella cultura orientale riescono a colpire la nostra immaginazione con tematiche attuali e una splendida messa in scena. Entrambi raccontano storie ambientate in epoche lontane, in cui leggendari guerrieri lottano contro il potere e l’ingiustizia. Ma sullo schermo li vediamo danzare, muoversi come acrobati in scenari da favola, dove i colori sono così ricchi e gli sfondi così sontuosi da apparire barocchi. Un barocco poetico, che trasforma la visione in un’esperienza artistica.
Con Hero torniamo nel 201 a.C., quando la Cina è divisa in sette regni in guerra l’uno contro l’altro. Terrorizzato dagli attentati, il re di Qin vive in completa solitudine da tre anni, quando un giorno si presenta al suo cospetto un guerriero che sostiene di avere ucciso i suoi nemici: Cielo, Neve che Vola e Spada Spezzata. Lo straniero (interpretato dalla star asiatica Jet Li), conosciuto come Senza Nome, ottiene il privilegio di conversare con il re e gli racconta la sua storia. Il sovrano però nutre dei sospetti sulla sua identità, ha notato la sua grande energia e teme che voglia ucciderlo. Senza Nome appartiene infatti a una famiglia sterminata dall’esercito di Qin e non ha mai ucciso Cielo e Neve (Maggie Cheung), alleati nel suo piano di vendetta. Spada Spezzata ha cercato invece di dissuaderlo dal suo vero intento, convinto che soltanto il re possa riunire i sette regni e porre fine alla guerra.
“La pace sotto un unico cielo”: per raggiungere quest’obiettivo, anche Senza Nome sa rinunciare alla sua rivalsa. E si sacrifica lui stesso, mentre Neve e Spada Spezzata si sfidano per unirsi infine nell’amore e nella morte. Il tema della guerra pacificatrice è tristemente attuale e l’eroismo del protagonista non viene dai successi nelle battaglie, ma dal coraggio con cui affronta il suo destino e rinuncia alla vendetta per un ideale.
Con La foresta dei pugnali volanti ci spostiamo invece all’epoca della dinastia Tang con la leggendaria setta dei Pugnali Volanti, un gruppo di rivoluzionari che si oppone all’imperatore. Come il nostro Robin Hood, gli abilissimi guerrieri rubano ai ricchi per donare ai poveri, conquistando il favore del popolo. Per catturarli, l’imperatore ordina la cattura di Mei (la sempre più brava Zhang Ziyi), una danzatrice cieca sospettata di essere la figlia del capo della setta. Conquistando la sua fiducia, l’ufficiale Jin si fa condurre nella foresta, dove però si scopre che Mei non è colei che si crede. I sentimenti prevalgono sui piani di tutti e, quando riceve l’ordine di uccidere Jin, Mei sceglie invece di condividere il suo stesso destino.
Immagini straordinarie e musiche tradizionali che accompagnano i movimenti degli attori, esaltandone gli stati d’animo, e si uniscono in uno spettacolo ricco di colori, di contrasti e di lirismo, anche se rispetto a Hero i protagonisti sono più umani, meno eroici e idealizzati.
Zhang Yimou trova il modo di far emergere i temi a lui cari, il rapporto tra uomo e potere, la determinazione a lottare per la propria causa fino alla fine. In amore e in guerra non ci sono regole, soprattutto al cinema. E se questi non sono film semplici e immediati per il pubblico occidentale, vale però la pena di conoscerli per provare a comprenderli.