Dopo aver diretto laffascinante e oscuro Antichrist, Lars Von Trier torna in sala con Melancholia, come sempre preceduto da un nuvolone di polvere e polemiche che rischia di mettere in secondo piano un lavoro interessante, che conferma ancora una volta come il percorso filmico del regista danese viaggi sempre su due binari intersecati, quello estetico e quello tematico. Il film si apre con il matrimonio tra Justine e Micheal. I due novelli sposi si stanno recando al luogo del rinfresco, la sontuosa abitazione di Claire, la sorella della sposa. Il notevole ritardo dei novelli sposi ci permette di conoscere gli invitati: cè la madre di Justine (una persona senza sentimenti), suo padre (un anziano playboy), il suo datore di lavoro e la famiglia della sorella. La coppia finalmente arriva e il ricevimento inizia.
Lapparente felicità di Justine si rivela però nascondere una grande infelicità che il matrimonio da poco avvenuto ha solo acuito. Tutti gli invitati cercano di starle vicino, ma è solo Claire a capirla veramente. Finita la festa, lo sposo decide di andarsene da solo e Justine rimane a passare la notte dalla sorella. Il mattino successivo è linizio della fine del mondo. Nessuno sa se accadrà o meno, ma il pianeta Melancholia è in rotta di collisione con la Terra. Mentre Claire comincia a preoccuparsi della fine, Justine vive gli ultimi attimi del suo mondo con inaspettata tranquillità.
Melancholia è un disaster-movie nella stessa maniera in cui Antichrist è un horror e Dancer in the dark un musical. Von Trier ha sempre sottomesso al suo cinema le regole del cinema americano, stravolgendole e sfruttandole per poter parlare delle sue paure e della sua visione del mondo. Melancholia fa parte di un percorso cominciato con Antichrist: un percorso che non solo condivide alcuni spunti estetici e visivi, ma che è accomunato soprattutto dalla cornice psicologica dei protagonisti, ovvero uno stato di profonda depressione.
Davanti alla fine del mondo, Von Trier traccia una linea e dove gli abitanti del Pianeta Terra devono schierarsi, una linea egocentrica che divide gli altri da Von Trier stesso (o da chi la pensa come lui). Il regista non dà spiegazioni o speranze: il mondo deve finire e le ultime cose che sentiremo saranno le nostre emozioni. Ed è questo in fondo Melancholia, unintricata rappresentazione delle ultime emozioni del mondo, emozioni tagliate in due parti nette, la paura e invece la rassegnazione di qualcosa che deve accadere.
Von Trier ci racconta tutto questo con uno stile multiforme. Il film parte con un prologo al rallenty (ancora più esagerato rispetto a quello di Antichrist) che racconta la fine del mondo. Von Trier, in questo segmento, più che dirigere, dipinge. La grande forza pittorica e iconica di alcune immagini è intimamente commuovente e arriva in via diretta al cuore dello spettatore. La macchina a mano ci accompagna invece durante il matrimonio, una macchina a mano però sicura dei suoi movimenti, orientati a catturare le emozioni dei partecipanti alla festa. L’ultima parte ritorna a essere fortemente evocativa con la Terra che riconsegna all’Universo tutta la sua energia.
Più preciso di Antichrist, Melancholia emoziona e conquista lo spettatore con una storia che parla ancora dell’essere umano, dei suoi difetti e delle sue paure. Un essere umano in cui Von Trier si identifica pienamente.