Scontro tra Titani è un film che, tutto sommato, mi è piaciuto. Certo, niente di epocale, ma in un momento in cui pellicole blasonate o da Oscar non hanno la certezza di “staccare” il biglietto per la storia, il fatto che un film diverta e non faccia rimpiangere i soldi del biglietto è già molto. Lascio ad altri e più autorevoli commentatori – e magari ad altri e più autorevoli contesti cinematografici – le riflessioni filosofiche su Scontro tra Titani, che propone una tristissima e semplicistica contrapposizione tra amore e fato e del rapporto con la divinità, ridicolizzata da chi abbia non dico approfondito il Catechismo, ma soltanto fatto la minima esperienza di cultura e fede cristiana in cui il rapporto tra amore e destino è regolato dalla splendida dinamica della vocazione.
D’altronde, se compro una bottiglia di Coca-Cola, non ha senso degustarla come un Barolo del ’71. Remake dell’omonimo film del 1981, la pellicola di Louis Leterrier prende gran parte dei pregi dell’originale, rivisitandoli e attualizzandoli con ottimi risultati dal punto di vista tecnico e forse con qualche caduta di stile dal punto di vista della sceneggiatura. Il punto di forza dello Scontro tra Titani oggi nelle sale è sicuramente il suo grande impatto visivo.
Il film dei primi anni ’80 girato con la potenza del computer (e, se vi capita la sala giusta, anche del 3D) acquista infatti quel fascino tipicamente contemporaneo di un film in grado – al cinema e solo al cinema, si badi – di stupire chi lo guarda. Una bella opera di entertainment, insomma, tutta basata su riprese aeree, amplificazione degli spazi, creazione di maestosità degne di un videogioco (e oggi, assolutamente, non è un insulto) e tipizzazione dei personaggi, mostruosi o mitologici, che acquistano davvero un realismo in grado di entrare in consonanza con l’immaginario collettivo.
Questo, in fondo, non ha prezzo per chi va al cinema. E’ un po’ un sogno che si avvera. In Scontro tra Titani Medusa, grazie a uno stupendo lavoro al computer, o Zeus nella sala del palazzo reale dell’Olimpo, sono davvero così come possiamo immaginaceli tramandati dalla tradizione (come la saetta scagliata da Zeus contro Jason Flemyng che lo sfidava apertamente).
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Non tutto è stato azzeccatissimo, se pensiamo a come è stato reso Pegaso o le streghe dello Stige, ma se perdoniamo qualche eccesso, quello della fotografia e dell’impatto visivo dei personaggi rimane, come detto, il maggior punto di forza della pellicola. Per il resto, certamente, il film è poco più che robetta. La trama è forte di un plot già collaudato, quello del 1981, senza però la forza di diventare il piccolo grande cult che fu ed è lo Scontro di Titani di Desmond Davis.
Certo, nell’originale spiccavano nomi del calibro di Ursula Andress e Laurence Olivier, mentre qui il cast non è certo di stelle, ma i problemi “veri” sono altri. Per cercare di venire incontro ai gusti del pubblico di oggi, infatti, si è deciso di rinunciare ad alcuni elementi dell’originale che sono entrati nel mito, come il gufo meccanico Bubo, nel modo di esprimersi “clone” del mitico R2D2 di Guerre Stellari (che appare in un cameo un po’ irriverente) e la cui funzione è stata svolta da Gemma Arterton (niente male!) nel ruolo di Io, appositamente tagliato per permettere al Perseo (interpretato da Sam Worthington) una bella e meritata storia d’amore (platonico).
Gli elementi cult della nuova pellicola, ci sono a dire il vero, ma sono un po’ nascosti. Innanzitutto le armature sono state ispirate a quelle del manga giapponese Saint Seiya (I Cavalieri dello Zodiaco) di cui il regista è fan accanito, tanto da affidare alla penna del loro disegnatore, Masami Kurumada, la realizzazione di quattro poster ufficiali del film usati in Giappone, dove il film è uscito il 23 Aprile.
Ma il difetto principale del film sta scarsa profondità dei personaggi. Troppe figure presentate e non approfondite, come la principessa Andromeda, i Djinn (che nell’originale nemmeno c’erano), il fanatico religioso, il re Acrisio o persino il tanto temuto Kraken. Troppa gente per un film moderno dal ritmo veloce che non sia una saga di tre episodi di tre ore ciascuno. In particolare con l’introduzione della figura di Io a risentirne è l’empatia con la principessa Andromeda: in fin dei conti, se il mostro se la pappa, a noi ci importa?
(Gian Maria Corbetta)