Come un tuono è uno di quei film in cui rimani un po spiazzato, con la magia del cast e la ricchezza della sceneggiatura, e la pienezza e limportanza dei contenuti trattati, che ti lasciano senza parole. Parole che forse non sarebbero del tutto positive, perché una pellicola come questa, in un modo o nellaltro, lo spettatore lo fa riflettere. Come un tuono – questo il titolo italiano, The Place Beyond the Pines quello originale – è un prodotto bellissimo, senza mezze misure. Ottimo sotto il punto di vista tecnico, straordinaria la capacità del regista statunitense Derek Cianfrance di sorprendere chi siede dalla parte opposta dello schermo, che tutto si aspetta – diventando quasi presuntuoso di giudizio credendo che il film sia scontato o banale -, tranne ciò che di lì a pochi istanti accade. Scena dopo scena, il prodotto filmico conquista il pubblico che, in un modo o nellaltro, si infervora.
Perché va bene che quella mostrata non sia una storia vera, e si accetta che agli americani piaccia, talvolta, enfatizzare lazione per rendere il film più interessante, ma la verità in questo caso sta nel mezzo. Quella di Come un tuono è una denuncia sociale prima, e un prodotto filmico poi, che, diciamocelo, non racconta altro che la triste storia – basata su fatti sicuramente già accaduti, e che sicuramente andranno a ripetersi -, di come la menzogna porti al potere.
A partire dalla bugia che Ro, una bellissima Eva Mendes, mette in atto nei confronti del biondo Luke (Ryan Gosling), negandogli di sapere che lui – quel biker tutto tatuato, e famoso negli States per i suoi salti da record in una sferica gabbia di metallo – è diventato papà di Jason, nato da un amore intenso ma distante, che solo una volta allanno torna a essere vissuto e consumato in quella periferia della provincia newyorkese in cui la giovane Romina si trova costretta a sposare un uomo che non ama, ma che gli assicura un tetto sopra la testa.
Luke però non ci sta, perché sa di poter trovar lavoro e di assicurare un futuro a figlio e compagna. Così, dapprima saltimbanco poi bravissimo meccanico, viene tentato dalle rapine in banca. Senza luso di armi, con la sola speranza di non farsi arrestare, per riuscire a guadagnare in modo semplice e immediato, e per poter, soprattutto, conquistarsi la famiglia che da sempre ha sognato.
Entra in scena qui il poliziotto Avery Cross, un magnifico Bradley Cooper che, dopo una veloce caccia al ladro – nellesatto momento in cui il bandito, oramai arresosi alla giustizia, telefona a casa chiedendo di non permettere al figlio di sapere che suo padre fosse un disonesto -, lo fredda, uccidendolo sul colpo, senza prima farsi riconoscere, senza prima gridargli, come invece da prassi, che le Forze dellOrdine stanno per entrare in azione, e che lui, Luke, dovrebbe consegnarsi anziché scappare. Avery Cross non controlla che la porta della stanza nella quale il fuggitivo è entrato sia chiusa. Non pensa al fatto che, prima della morte, vi sia anche la possibilità della detenzione. Semplicemente spara, commettendo, a tutti gli effetti, un omicidio.
E così un flashforward ci porta avanti di quindici anni. Con Avery Cross che, a forza di menzogne -perché racconta ai colleghi di aver ucciso un criminale e non di aver invece commesso un delitto – diventa un pezzo grosso del dipartimento di polizia locale, divorzia dalla moglie che, al contrario, non accetta le sue mezze-verità, (non-)cresce un figlio, bulletto e un po’ drogato, che il Destino vuole diventi (non-)amico di Jason, figlio di Luke, che ancora è convinto sia stata un incidente la causa della morte del padre.
Ma quando “tutti i nodi vengono al pettine”, di nuovo, nulla di ciò che ci si aspetta, accade. Perché Jason non fa più ritorno a casa, ma al contrario compra una motocicletta con la quale parte, e va, chissà dove, cavalcando le stesse strade che già 15 anni prima quell’uomo che lo ha messo al mondo bruciava, con le sue magliette sporche e i tatuaggi che gli raccontavano la vita sul corpo. Mentre l’agente Cross continua la sua scalata al successo, sempre più consapevole di avercela fatta e di non avercela fatta per niente, di essersi trasformato in quel falso e disonesto poliziotto che anche suo padre era stato.
Un binomio bene-male, oppure menzogna-verità, che fa arrabbiare perché reale, e perché, soprattutto, la sincerità non premia, quasi mai. Così come racconta il regista Cianfrance, che conclude il film con un sole che cala, commovente, come per dire che la battaglia tra famiglie è finita. Ma, si sa, la pace è solo apparente. Per quanto ci si possa impegnare a mentire, e a nascondere ciò che nessuno deve sapere, non possiamo comunque mai imbrogliare noi stessi. E sicuramente Avery Cross, quasi una persona reale e non l’invenzione di uno sceneggiatore, questo l’ha capito, col passare del tempo, a telecamere spente. Come un tramonto sui più forti, o su quello che nascondono a tutti.
Un film bellissimo, molto lungo ma per niente noioso. Un film denuncia che ci fa diventare tutti A.C.A.B, almeno un po’, per qualche ora, e che per quanto possa sembrare scontato, in realtà non lo è affatto. Un film che, senza mezze misure, ti fa correre come Luke, ti fa stare dalla parte di chi, come lui, commette errori in tutta onestà. E poi, ingenuamente, si schianta. Senza fiato, come un tuono. Da non perdere.