A volte non basta un Leone doro per essere notati da tutti o trovare un pubblico ampio, ma sicuramente può servire ad alimentare un culto. E lestate può aiutare a recuperare i film che si sono persi nei mesi scorsi. Un piccione seduto su un ramo riflette sullesistenza, opera numero 5 del regista svedese Roy Andersson e chiusura della trilogia sullessere un essere umano dopo Canzoni dal secondo piano e You, the Living, ha trionfato a settembre alla Mostra del Cinema uscendo poi a febbraio nelle sale non riuscendo ad attirare un pubblico folto. Ma chi lo ha visto lo ha amato e ne capiamo il motivo.
Il film più che una storia ha un filo conduttore, quello di due venditori di scherzi e trucchi di Carnevale che cercando di sbarcare il lunario in un mondo sempre meno incline alla risata, mostrano quadri di varia e assurda umanità, dipingendo un affresco stralunato che dalla malinconia e la depressione arriva anche allamore e alle piccole gioie.
Scritto dallo stesso Anderson, il film sintetizza lumorismo affettuoso e melanconico con il cinismo quasi apocalittico dei primi due film per crear una summa e forse il miglior capitolo della filmografia del regista, capace di riesumare Beckett e il cinema comico daltri tempi – dal muto a Jacques Tati – con lesistenzialismo tipico dellarte nordica.
Il film si compone di 39 quadri, scene con inquadratura quasi fissa e prospettiva molto particolari, nelle quali avvengono piccole scenette che poco a poco diventano sempre più ricche, complesse dal punto di vista della regia e pregne di significato: e attraverso queste scene, allapparenze simili e invece capaci di cogliere sfumature sempre differenti, Andersson riflette sulla condizione umana, usando come tormentone la frase Sono contento che stiate tutti bene che cambia a seconda della circostanza (una delle poche pronunciate), su quel groviglio di malessere e speranza, disagio e possibilità che è la nostra vita.
E il regista mette in scena tutto questo specchiando questa ricchezza nello stile del film, allapparenza scarno ma in realtà quasi sontuoso: non solo perché il lavoro sullinquadratura e i personaggi al suo interno ha spesso del miracoloso, ma perché Anderson sa far confluire larte pittorica (lo stesso titolo deriva da Bruegel il vecchio), il teatro con il lavoro sulle scene e i costumi, il mimo per le maschere facciali, per farne nascere grande cinema che esplora possibilità, dal nulla crea viaggi surreali, come le incredibili sequenze nel bar di Lotte la zoppa o lingresso in un locale moderno di Carlo XII a cavallo con il suo esercito.
Colpi di genio che a dispetto della struttura non si isolano ma vanno a comporre uno sguardo ricco di pietas, humour e soffuso orrore, il quale – se state al gioco di Andersson, non facilissimo – potrebbe regalarvi sorprese ed emozioni. Il film è appena uscito in edizione home video, il momento migliore per guardarlo o riguardarlo.