Certo, questo è un film su un uomo-bambino che deve crescere, dismettere i panni egoistici di chi vuole realizzarsi senza considerare chi dipende da lui. No, non è Lultimo bacio. E nemmeno il suo seguito, Baciami ancora. Si tratta di una produzione un po americana, un po italiana, con uno sceneggiatore americano e.. puff! Gabriele Muccino come regista. Ecco spiegato tutto, forse.
Involontaria estensione delle due già citate mucciniane pellicole, Quello che so sullamore si insinua nel filone mi sento ancora Peter Pan ma è ora che cresca che il regista italiano ha inaugurato a partire da quel gruppo di trentenni in bilico verso letà adulta. E che ora, evidentemente, lo aspetta anche oltreoceano, dandogli loccasione di porre unappendice hollywoodiana al senso di immaturo senso di fuga dalla vita reale che i suoi personaggi made in Italy hanno cavalcato nei primi due episodi della saga di fanciullesca generazione.
Chi sperava che Muccino, dunque, avesse – dopo La ricerca della felicità e Sette anime – definitivamente acquisito pennellate americane nel suo sguardo registico resterà molto deluso da questo suo ultimo film. Che si sarebbe potuto tranquillamente intitolare Quello che non so sullamore. Avrebbe meglio interpretato il significato dellinconsistente storia raccontata sullo schermo niente meno che da Gerard Butler, Jessica Biel, Uma Thurman e Catherine Zeta Jones. E non si capisce perché.
Per quale motivo, ovvero, notevoli attori hollywoodiani – chi più, chi meno – hanno consapevolmente deciso di girare questa pellicola? Ci viene in mente solo il dio denaro. Oppure il fascino intellettuale e autoriale che dallaltra parte delloceano lessere diretti da un regista europeo può provocare. Questo dilemma ci coglie ben prima di metà film, quando già abbiamo intuito che per la restante ora succederà quasi nulla e che il poco che ci è stato raccontato brancola superficialmente nel buio.
un vero peccato, perché se cè un prodotto che gli americani sanno confezionare bene sono proprio le commedie romantiche. Anche quelle più banali e semplici hanno una forza attrattiva che distende noi spettatori, consapevoli che lhappy ending ci aspetta dietro langolo, ma desiderosi di vivere le belle e intense emozioni che una storia damore fa nascere.
Ecco, tutto questo in Quello che so sullamore non cè. Ci sono sicuramente gli ingredienti. Gerard Butler è George, un ex campione di calcio che ha dovuto appendere le scarpette al chiodo a causa di un brutto incidente. Bello, ammirato e ammaliato dalle luci dorate della fama, rovina la sua famiglia tradendo la moglie Stacei (Jessica Biel) e suo figlio Lewis, di soli quattro anni. Il fondo, però, è ancora lontano. Un grave incidente lo costringe al ritiro. Si trasferisce, così, in Canada per degli affari, perdendo gran parte dei soldi investiti.
È il momento di crescere, deve essersi detto George. Che con la coda tra le gambe torna a casa. O meglio, va ad abitare vicino a suo figlio grazie a un improvviso lampo di emotivo senso di paternità, nel tentativo di recuperare un rapporto un po’ incrinato, dato che il bambino ha visto scomparire suo padre più o meno nel nulla. Tutto il film si svolge in questa direzione. George che vive ogni giorno il rimorso per aver lasciato la sua prole, cercando in qualche modo di recuperare il suo ruolo di padre.
Diventa, per caso, allenatore della squadra di calcio del piccolo Lewis. Ottimo, sì. Peccato che la fama e la mise sportiva in campo attirino gli appetiti di molte mamme pronte ad assistere alle prodezze dei propri figli. E per George è una vera prova resistere alle curve ammalianti di queste belle e annoiate donne. Ma ce la deve fare, sissignore!. Perché tutto d’un tratto si è reso conto non solo di voler essere un buon padre, ma anche di aver mandato all’aria la sua famiglia per una scappatella di troppo. Mentre Stacei è lì, dolce come sempre e pronta a voltar pagina.
Il problema è che questo film non è soltanto banale, ma soprattutto monotono, prevedibile, ripetitivo. Superficiale, soprattutto. Manca una storia degna di essere tale, che supporti, con profondità psicologica di plot e personaggi, emozioni per nulla leggere o frivole. L’idea di raccontare il riscatto di un padre per un figlio è bella. Patetica e a tratti imbarazzante è l’ingenuità che George dimostra verso la vita. Che tentenna, non sapendo dove andare e come arrivarci, tra le fila di uno sviluppo drammaturgico incerto e claudicante.