Il tempo per una vita vissuta ai margini inizia a scarseggiare mentre la protagonista di nome Flavia (interpretata da Laura Morante) intraprende la faticosa consapevolezza di sé contro gli oggetti sempre più soffocanti nello studio della psicanalista (Piera Degli Esposti). L’inquadratura si focalizza nel suo immaginario funerale, mentre alla paziente rimane solo la voce fuori campo per ritornare in scena. Così si apre il film dal titolo Assolo (regia di Laura Morante), dove la verità si snoda tra molteplici provocazioni della realtà, metabolizzate da Flavia attraverso una ripetuta incursione sfocata nei suoi sogni variopinti.
Dopo due matrimoni falliti, la donna, imprigionata nella sua rigidità, parla ma è come se non parlasse, vive ma è come se non volesse vivere. Osservatrice esterna della sua vita e della sua stessa immaginazione, non vuole comparire, avere un carattere. Ha un lavoro, una casa ma «come si fa ad amare una persona che non ama se stessa?». A più di cinquant’anni Flavia affronta per la prima volta una patologica insicurezza: ha paura di affrontare la vita. Un trauma infantile ha causato in lei un senso d’inferiorità che la costringe a dipendere morbosamente dagli ex mariti Gerardo (Francesco Pannofino) e Willi (Gigio Alberti), dalle loro rispettive nuove mogli Giusy (Emanuela Grimalda) e Ilaria (Carolina Crescentini), diventandone amica, dai “figli” Nicola (Giovanni Anzaldo) e Stefano (Filippo Tirabassi) e da altre particolari amiche come Giovanna (Eugenia Costantini), Evelina (Donatella Finocchiaro) e Valeria (Angela Finocchiaro), costruendosi una rete malsana di rapporti che le dona un falso senso di certezza e protezione.
Tale muro psicologico viene forzatamente trasmesso, dalla dottoressa a lei e dalla macchina da presa allo spettatore, per “scuotere” la protagonista e renderla consapevole delle porte che si stanno chiudendo, della sua bellezza troppo “classica” che si sta perdendo, in una storia che deve essere la propria e compiersi il prima possibile. Nel silenzio di un vuoto sentimentale, coperto solamente dall’amicizia con la cagnolina dei vicini e dall’accettazione delle rozze avance del collega di lavoro Mauro (Marco Giallini), Flavia si sente obbligata a prendere in mano la sua vita attraverso numerosi tentativi di ottenere la patente per una maggior autonomia e goffi approcci all’autoerotismo, a colpi di definizione da vocabolario. Solamente la psicologa riuscirà a offrire un alternativo punto di vista che sbloccherà la situazione della paziente: «Lei si immagina di dover entrare in quelle porte chiuse e si ritrova bloccata dalla paura dell’ignoto. Se, invece, quelle stesse porte fossero una via d’uscita?».
Ecco che in questo modo nel “bosco verde” della coscienza della protagonista la colonna sonora di Nicola Piovani evidenzia “il cappello rosso” della sua presenza al di là di tutti i personaggi, mentre l’ironia di questa coraggiosa commedia al femminile, tra il “tango travolgente” dell’illusione e la resistenza della dura realtà, smaschera il caos della vita, offrendo al pubblico un originale spunto di riflessione sull’autentico valore di Flavia, per un film molto interessante da vedere dietro la noia dell’apparenza.