Ariel Vromen, regista israeliano, si era già cimentato con il genere thriller nel 2012 dirigendo The Iceman, storia vera di uno dei più feroci serial killer di tutti i tempi. A distanza di quattro anni torna nelle sale con Criminal, un ibrido thriller/fantascienza con un cast formato, tra gli altri, da Kevin Costner, Tommy Lee Jones, Gary Oldman, Gal Gadot.
L’agente della CIA Bill Pope (Reynolds) muore durante una missione, portando nella tomba segreti fondamentali per sventare un attacco terroristico su scala mondiale. Il Dottor Franks (Jones), su richiesta della CIA, prova così a trasferire le reti neuronali del defunto Pope nella mente “vergine” del criminale Jerico Stewart (Costner). Quest’ultimo, incapace di provare emozioni a causa di un trauma cerebrale, inizierà da quel momento a sperimentare emozioni e ricordi non suoi, mentre il classico anarchico supercattivo minaccia di eliminare lui e il mondo intero.
Vromen e i suoi sceneggiatori non si fanno mancare nessuno dei clichés del genere, dai più beceri – l’anarchico pazzo che minaccia di distruggere il mondo pare uscito da un brutto film anni ’80 – a quelli più scontati, come il telefonatissimo (e inquietante, a ben vedere) happy ending finale o una serie di personaggi di contorno che diventano buoni in un battito di ciglia, oltre all’immancabile umorismo fuori luogo. Tutto questo stona con l’atmosfera generale del film, che, al contrario, vuole essere perlopiù cupa e sanguinaria: Vromen non è però Tarantino, e tra schizzi di sangue e battutine emerge solo una somma confusione, un miscuglio di elementi eterogenei tenuti insieme alla bell’e meglio.
L’aspetto più interessante del film è sicuramente quello fantascientifico. Dopo il “trapianto” il criminale Jerico inizia a sviluppare una personalità influenzata dai ricordi del defunto agente, e il contrasto tra i due – rozzo e anaffettivo l’uno, uomo modello l’altro – si presterebbe a svariati approfondimenti se solo il film non appiattisse il tutto con una sceneggiatura scialba, che si riduce a facili sentimentalismi e tocchi di violenza per tenere sveglio lo spettatore.
Se la sotto-trama familiare e pseudo-sentimentale ha una ragione d’essere, pur nella sua prevedibilità, l’intrigo internazionale che sta alla base di tutto è quanto di più assurdo, naif e approssimativo si possa trovare in un action contemporaneo. Oltre al già citato anarchico pazzo, il goffo tentativo di imbastire una rete di cyber-terrorismo credibile si infrange contro trovate che sarebbero state datate anche un decennio fa, come il cliché della chiavetta USB o la compagna del cattivo che sembra uscita da uno dei peggiori film di James Bond.
Noioso e dimenticabile, il secondo thriller di Vromen risparmia insomma su intreccio, credibilità e identità personale per puntare tutto su un cast dai nomi più o meno altisonanti, che prova, per la sua eterogeneità, ad attirare in sala sia i nostalgici di Men in Black con Tommy Lee Jones, sia i più giovani con star come Reynolds e Gadot, entrambi sulla cresta dell’onda per aver preso parte a cinefumetti di successo.