Quando si parla di Giancarlo De Cataldo non può non venire in mente “Romanzo Criminale”, il libro trasformato prima in film e poi in serie tv. Una serie che ha portato alla ribalta il nome di Stefano Sollima, regista che ha diretto anche la prima stagione di “Gomorra – La serie”, oltre che i film Acab – All cops are bastards e Suburra. Quest’ultimo basato sull’omonimo romanzo di De Cataldo e Carlo Bonini, con nel cast un indimenticabile Claudio Amendola nel ruolo del Samurai. Ora le strade di Amendola e De Cataldo si rincontrano con Il permesso – 48 ore fuori, film con cui l’attore torna dietro la macchina da presa (dopo l’esordio de La mossa del pinguino) con un soggetto scritto dal magistrato.
La trama è piuttosto semplice. Dal carcere di Civitavecchia escono quattro detenuti per un permesso speciale di 48 ore. Donato (Luca Argentero) è un ex pugile dedito a incontri clandestini che ha una sola missione: ritrovare Irina, sua moglie che crede essere costretta a prostituirsi. Luigi (Claudio Amendola) ha ormai scelto di scontare la sua pena per vivere una vecchiaia serena a fianco della moglie, ma deve fare i conti con un figlio che ha deciso di seguire le sue orme nella criminalità, fregando però un suo vecchio socio. Angelo (Giacomo Ferrara) è stato arrestato dopo un incidente in auto: con lui viaggiavano i suoi amici (che sono scappati) con cui aveva appena eseguito una rapina. È solo, senza parenti e vorrebbe rivedere la sua ragazza di cui non sa più nulla. Rossana (Valentina Bellè), invece, è una giovane di buona famiglia, finita dentro per aver cercato di trasportare diversi chilogrammi di cocaina dal Brasile. Il suo obiettivo è non tornare più in carcere.
Rispetto a La mossa del pinguino c’è quindi un netto cambio di genere, ma Amendola anche in questo secondo film invita lo spettatore a una riflessione profonda. Le quattro storie sono diverse tra loro e solo quelle di Angelo e Rossana si incrociano per davvero. Il comune denominatore di tutte sembra essere l’amore e la capacità di cambiare. Potrà risultare facile per lo spettatore empatizzare con uno dei personaggi, in ognuno di loro sembra esserci, seppur con sfumature diverse, quell’impronta di “buono” e “cattivo” che ciascuno può facilmente ritrovare in sé.
Non mancano, però, dei “difetti” nella pellicola, come forse la ricerca “eccessiva” di drammatizzazione, che viene tuttavia bilanciata dalle storie all’apparenza più leggere di Angelo e Rossana, che rappresentano quasi una boccata d’ossigeno rispetto alle cupe e sanguinose vicende degli altri due personaggi, Donato in particolare. Proprio su quest’ultimo c’è forse l’eccesso maggiore, con un personaggio che pare un mix tra Jean-Claude Van Damme, Sylvester Stallone e Dolph Lundgren.
La scommessa di affidare questo ruolo a Luca Argentero sembra essere stata vinta, nonostante, appunto, gli eccessi di cui sopra. Non può sfuggire una piccola curiosità: nel primo film di Amendola, La mossa del pinguino, si vedono degli spezzoni dell’edizione del Grande Fratello in cui uno dei protagonisti era proprio Argentero. Che il regista stesse già pensando a una parte per l’ex gieffino?