La corrispondenza, il nuovo film di Giuseppe Tornatore racconta una tragica storia d’amore, ma è anche una riflessione sull’assenza e su tutti i modi in cui gli esseri umani cercano di colmarla. Amy Ryan (Olga Kurylenko) è una giovane studentessa di fisica che, per mantenersi, lavora come controfigura per il cinema, rischiando la vita per girare scene d’azione in cui fa sempre una brutta fine. Da sei anni è felicemente innamorata del professor Ed Phoerum (Jeremy Irons), astrofisico di fama internazionale, con cui trascorre poco tempo, ma che sente regolarmente tramite messaggi, email, skype.
La sintonia tra i due è perfetta, tanto che Amy non vede nemmeno i coetanei che le stanno intorno nella speranza di catturare la sua attenzione, né si lascia spaventare dall’esistenza di una moglie e due figli nella vita dell’amante. Le conversazioni tra loro sono ricche di riferimenti alle stelle, ai mondi paralleli, alle supernove, perché la scienza dell’universo, in fondo, parla anche della condizione umana.
Un giorno, però, Ed sparisce. Da quel momento, la vita di Amy si concentra nella ricerca disperata di una spiegazione, mentre continua a ricevere pacchi, messaggi e lettere che la tengono legata a lui. Il professore ha intessuto una trama perfetta per restarle vicino anche nell’assenza, sfruttando ogni mezzo di comunicazione possibile nel tentativo di guadagnare un pizzico di immortalità, assicurandosi la complicità delle persone per svanire davvero soltanto quando fosse stata Amy a deciderlo.
Si potrebbe dire che certi dialoghi sono melensi, che alcuni snodi appaiono scontati o poco realistici, che Tornatore ha premuto con forza eccessiva il tasto del romanticismo. Eppure la storia commuove, e non solo perché (da esseri umani) comprendiamo il dolore della protagonista.
La corrispondenza parla d’amore, un amore che cerca di sopravvivere alla morte, ma cinema e narrativa hanno già esplorato a lungo questo tema. Nel film c’è qualcos’altro. La pioggia che cade sui paesaggi scozzesi, gli interni caldi dei caffè, la malinconia della casa sul lago italiano in cui il professore amava rifugiarsi, le musiche di Ennio Morricone creano la cornice di un racconto che, in ogni momento, mette in scena la lotta contro l’assenza.
L’uso esasperato della tecnologia non rispecchia forse il tentativo dell’uomo di essere presente sempre e comunque, anche quando fisicamente è impossibile? Telefonate, videochiamate, email, internet, sono tutti mezzi che consentono di mettersi in comunicazione con il mondo senza muoversi da casa, e di creare un doppio che sostituisce la persona vera. Così interagiamo con ciò che non è presente, come gli astrofisici che dialogano con le stelle già morte.
Ma il rischio, come si legge tra le righe del film, è quello di restare intrappolati nel desiderio di una presenza che non c’è, e che non può essere rimpiazzata da un’immagine virtuale. Il cinema, la scrittura, ogni forma d’arte insegue l’immortalità, ma nessun supporto dura per sempre: i dischi si rovinano, i computer possono essere rubati, la memoria della telecamera si può cancellare, le parole sbiadiscono con il tempo. Siamo fatalmente incapaci di essere eterni.
Se ne La migliore offerta la trama si sviluppava in modo complesso intorno al mistero, qui accade il contrario, la narrazione diventa semplice per lasciare spazio ai simboli e a quei dettagli che evocano le emozioni. Seguiamo Amy in ogni suo spostamento, tra Edimburgo e l’Italia, incontriamo personaggi che sembrano più simboli che persone, dall’avvocato-guardiano al traghettatore-Caronte. Il risultato può deludere o piacere, eppure si sente la poesia, la nostalgia, la ricerca di un linguaggio diverso da quello dell’azione e degli effetti speciali, per proporre qualcosa a cui, forse, non siamo più abituati.