La regia di Ron Howard in Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick esalta i toni leggendari con cui la penna di Melville nel 1851, basandosi su di una storia vera, diede vita alle avventure volte a catturare la mitica Moby Dick. Tensione e suspense percorrono il racconto sul grande schermo, assecondando un sistema narrativo efficace e sostenuto sia da un’incessante sequenza di avvenimenti che da una geografia di personaggi chiara e ben intellegibile nel significato.
Tutto ha origine nel 1820, quando la baleniera Essex, alla ricerca di cetacei da sacrificare per il mercato dell’olio di balena, salpa con a bordo l’equipaggio comandato dal Capitano Polard e dal Primo Ufficiale Chase. Tra i due si instaura da subito un antagonismo che si rivelerà molto pericoloso per gli uomini a bordo della Essex. Fino a quando, per dare una svolta a una pesca del tutto infausta, Polard e Chase, di comune accordo, decidono di volgere verso i confini del mare navigabile per cercare fortuna tra un branco di numerosissime balene. E dove la leggendaria balena bianca Moby Dick aspetta chi è pronto a sfidare le regole del mare.
L’intera vicenda è racchiusa da una cornice nella quale si muove il giovane Melville, che per ascoltare le avventurose imprese della Essex da chi direttamente le ha vissute è disposto a investire tutti i propri risparmi. È così che, durante una lunga notte, l’ex marinaioThomas Nickerson, ormai vecchio, racconta a Melville ciò che non era mai riuscito a narrare a nessun altro. Le tempeste e gli attacchi delle balene, la tremenda punizione che il mare diede loro per essersi spinti troppo oltre. Evocando e valorizzando, in questo modo, la matrice epica del romanzo “Moby Dick”.
Questa cornice ambientata a metà del 1800, inoltre, serve anche a introdurre e scandire il “romanzo di formazione” di cui proprio Nickerson, vivendo in prima persona le drammatiche circostanze, fu protagonista. Imbarcatosi giovanissimo, infatti, la prima esperienza fu proprio a bordo della sfortunata baleniera, dove poté confrontarsi con Chase e Polard e con i valori da essi rappresentati. Da una parte Polard, al suo primo incarico, si macchia di inesperienza, boria travestita da volgare audacia. Dall’altra Chase, coraggioso e audace, ambizioso, onesto e leale e pronto a rispettare, con profonda lealtà, il patto di fedeltà fatto al proprio equipaggio.
Ciò che, soprattutto, il giovane Nickerson impara è il valore del rispetto. Riconoscere i propri errori e fare un passo indietro. Soltanto in questo modo, grazie a un sofferto ma sincero inchino di Chase al mare e a chi ne abita gli abissi, la Essex e ciò che di essa resta può volgersi verso la costa di casa.
Il regista Ron Howard è generoso verso lo spettatore nel delineare in maniera netta la parabola eroica dei suoi personaggi e, soprattutto, di Chase. Noi spettatori, che viviamo in prima persona le avventure della Essex attraverso gli occhi e le parole di Nickerson, insieme a lui “diventiamo uomini”, colpiti dal senso di palpabile e sofferta accettazione, ma mai rassegnazione, di Chase verso le sfortune che il mare ha restituito loro. Basta, infatti, saper rispettare le leggi del mondo in cui ci si avventura per guadagnarsi il rispetto e una tranquilla navigazione. Cosa, infatti, è più importante? Infrangere le leggi non scritte del mare o assecondare la cupidigia umana?
La storia prende chiaramente una posizione, permettendo al giovane, ora anziano, Nickerson di affrancarsi da tutte le colpe di cui lui e i suoi compagni di mare si sono macchiati. Tutto questo è, poi, accompagnato da azione incessante, supportata, laddove mancante, da personaggi ben definiti e forti nella loro espressione sulla scena, e in grado di scandire un buon ritmo narrativo.
Questo non non scema neppure quando, nella seconda parte del film, lascia il posto alle drammatiche conseguenze che colpirono la Essex, ma, trasformandosi nel tentativo di vincere la morte, esprime la profondità del senso della vita e la faticosa lotta per affermarla.