Il 25 maggio 1977 esordiva nelle sale americane Guerre Stellari di George Lucas, un film destinato a segnare, secondo modalità fortemente emblematiche, la storia recente della Settima Arte. Innanzitutto è il film che ha saputo battere il record di incasso (in valore assoluto) di Via col Vento (V. Fleming, 1939), che resisteva da trentotto anni, anche se la celebre epopea tratta dall’omonimo romanzo di Margaret Mitchell rimane a tutt’oggi il film con più spettatori in sala di ogni epoca.
Poi Guerre Stellari è l’opera che la storiografia tutta pone sulla soglia d’inizio della fase contemporanea della storia del cinema, quella che con la forza della sua spettacolarità, e l’evidenza di un immenso successo di pubblico, ha certificato il cambiamento di rotta già inaugurato da altre pellicole (quelle di Steven Spielberg soprattutto). Nel contemporaneo stretto, e in parte nel post-moderno, il grosso delle produzioni si caratterizza, da un lato, per il regresso a storie semplici di taglio favolistico, e dall’altro per il totale disinteresse per i problemi del mondo reale. Entrambi elementi ben presenti nel film di George Lucas, immessivi sapientemente dai suoi autori poiché riconosciuti vincenti.
La narrazione è avvincente, lo script segue pedissequamente il cosiddetto “paradigma del viaggio dell’eroe”, messo a punto dalle scuole di buona sceneggiatura dei primi anni Settanta. E poi tutto sta sulla superficie luccicante delle cose: lo stile è simile a quello della modernità, ma non usato per approfondire temi e/o dare spessore a personaggi, ma unicamente in chiave ludica, per esaltare l’aspetto più dinamico e spettacolare del film. Lo spettatore viene allora ridotto a puro e semplice consumatore, come mai prima nella storia.
Infine Lucas inaugura, consapevolmente, la serialità come cifra narrativa e stilistica del contemporaneo, i cui proseliti si vedono in massa soprattutto oggi, nelle tante serie tv di taglio cinematografico super-spettacolare – e super-digitale – come nel cinema più facile e popolare. Infatti, quello del 1977 è un episodio della saga che Lucas aveva immaginato fin dall’inizio composta da nove film, già stabiliti in linea di massima nella lunga fase di stesura del soggetto e del trattamento, dal 1973 in poi. Per motivi tecnico-produttivi, non meglio precisati, il primo film realizzato racconta il quarto episodio della saga, infatti rieditato nel 1997 con il titolo Star Wars IV – Una nuova speranza. Subito dopo Lucas produce, affidandoli però ad altri registi, i due sequel del primo: L’Impero colpisce ancora (1980), Il ritorno dello jedi (1983). Dopo un quindicennio di stop procede alla realizzazione dei primi tre episodi nell’ordine cronologico della vicenda: La minaccia fantasma (1999), L’attacco dei cloni (2002), La vendetta dei Sith (2005). Tutti e tre mirabili esempi di tecnologia asservita allo spettacolo cinematografico, con scenari mozzafiato realizzati al computer e decine di personaggi virtuali che interagiscono con quelli reali. Emozionante il finale dell’ultimo, con l’aggancio narrativo allo Star Wars originario, cioè la trasformazione di Anakin Skywalker in Dart Fener (citazione del Frankenstein di J. Whale, 1931), seguita dalla nascita e separazione dei gemelli Leia e Luke, che cresceranno ignari l’uno dell’altra su pianeti diversi.
Ora la Lucas Film è stata acquisita dal colosso Disney, il quale provvederà a terminare il progetto seriale che George Lucas ha pensato più di quarant’anni fa (il settimo episodio è già uscito nel 2015 col titolo Il risveglio della forza). Più prodotto dell’industria culturale di così si muore.
Ma nonostante tutte le cautele critiche esposte, Star Wars, sia il capostipite che la saga tutta, ci piace da impazzire. È costruito apposta per “fregarci”, consapevolmente lo sappiamo bene, ma ci lasciamo volentieri coinvolgere lo stesso. Ritorniamo adolescenti di fronte a un tanto mirabile mix di elementi del racconto di sempre, quello epico e poi cavalleresco medievale (origini del romanzo moderno), ben amalgamati con i topoi della fantascienza più favolistica (alla Flash Gordon). In questa ennesima fanciullesca rivisitazione dell’eterna lotta tra il Bene e del Male, come non immedesimarsi e parteggiare per gli adepti della parte buona della Forza, guidati dal mentore vecchio cavaliere Jedi Obi-Wan Kenobi? E come non essere comunque affascinati dal carismatico Dart Fener, ex cavaliere Jedi passato al lato oscuro della Forza? Anche per questo il film funziona come un orologio, alla stregua di un immenso giocattolo spettacolare, nel quale anche le diverse citazioni servono, soprattutto, a collegare meglio il tutto all’immaginario collettivo del pubblico.
E così, il ritorno di Luke alla casa in fiamme degli zii viene da Sentieri selvaggi (J. Ford, 1956), l’attacco con i caccia della resistenza alla Morte Nera è ispirato a Squadriglia 633 (W. E. Grauman, 1964), i festeggiamenti finali ricordano le parate de Il trionfo della volontà (L. Riefenstahl, 1935), mentre il droide D-3BO, con Anthony Daniels al suo interno, è palesemente ricalcato dal robot femminile di Metropolis (F. Lang, 1927).
Guerre Stellari è dunque un film spartiacque, da molteplici punti di vista. La storia del cinema non è stata più la stessa dopo la sua comparsa: molte delle soluzioni tecniche escogitate nei vari capitoli per dare forma alle visioni adolescenziali (in senso buono) di George Lucas hanno poi fatto scuola, hanno tracciato un sentiero di sviluppo che una parte non secondaria dell’industria cinematografica ha poi seguito con profitto.
Nella sempiterna diatriba, vecchia quanto la macchina inventata dai fratelli Lumiere, tra cinema inteso come arte e cinema fatto per intrattenimento, Hollywood è sempre stata, e più che mai lo è ora, più dalla parte del secondo che non della prima. Nulla di particolarmente grave, sono comunque le due facce del medesimo mirabile sogno a occhi aperti che è il Cinema; e Guerre Stellari, sia il prototipo che la saga che ne è seguita, è stato senz’altro uno dei sogni hollywoodiani meglio riusciti di ogni epoca. Che la Forza sia sempre con voi.