Dopo aver diretto i due capitoli finali della trasposizione cinematografica di Twilight, e, in seguito, il biopic sul fondatore di WikiLeaks Julian Assange, lo statunitense Willian “Bill” Condon torna alla regia con Mr. Holmes – Il mistero del caso irrisolto, un film ispirato a un romanzo di Mitch Cullin. Il Mr. Holmes del titolo non è altri che il celebre Sherlock Holmes, un ultranovantenne ritiratosi in campagna tra le api e le cure più o meno insofferenti della domestica, Mrs. Munro (Laura Linney).
A causa dell’età che avanza Holmes – interpretato dal sempre impeccabile Ian McKellen, qui nella duplice versione di “arguto gentiluomo” e “vegliardo rattrappito” – inizia a non ricordare più i particolari del suo ultimo caso, romanzato e alterato dalla fervida immaginazione del vecchio socio Watson. Ecco che Holmes si imbarca in una lotta mentale contro il tempo, nella speranza di riuscire a risolvere il caso che lo ha portato ad abbandonare definitivamente la professione di investigatore.
Il primo impatto con Ian McKellen è sicuramente scioccante: rughe pronunciatissime, andatura pericolante e sguardo perso nel vuoto, ben diverso da quello che ci si aspetterebbe da uno dei pilastri della recitazione britannica. Presto, però, viene svelato l’arcano, e attraverso una complessa rete di flashback vediamo l’attore maturare (o regredire, a seconda dei punti di vista) dall’Holmes brillante e “in carriera” al vecchio apicoltore in aria di senilità.
Grazie a un’incredibile padronanza del proprio corpo McKellen riesce, con l’aiuto di un trucco più o meno marcato, a differenziare le varie fasi della vecchiaia di Holmes, sventando il rischio – che pure è dietro l’angolo – di rendere incomprensibili le (numerose) transizioni da un flashback all’altro, da passato a presente.
A ben vedere l’interpretazione di McKellen è l’aspetto più affascinante della pellicola, che per il resto naviga tra il regno della noia e quello delle occasioni mancate. Il film, che sulla carta vorrebbe essere un’indagine sulla memoria, l’identità e la vecchiaia, scorre con una lentezza ingiustificata, che mal si adatta alla sua superficialità dilagante. Non siamo, fortunatamente, dalle parti di quel tipo di cinema tutto lacrime e buoni sentimenti, ma rimane comunque forte la sensazione che il regista non sia stato in grado di maneggiare un soggetto potenzialmente molto più interessante di quanto, a conti fatti, non risulta.
Il fantomatico “caso irrisolto” che campeggia a chiare lettere sulla locandina italiana sembra rimandare a una sottotrama investigativa in puro stile Sherlock Holmes, ma, al contrario delle aspettative, c’è ben poco “mistero” nel film, e l’interesse per il caso è pressoché nullo. Colpa, questa, da imputare a una sceneggiatura confusionaria e inconcludente, che si lascia prendere un po’ troppo la mano dalla struttura a flashback fino a collassare sulla propria stessa inconsistenza.
Ciò che rimane è ben poco: uno Sherlock Holmes soffocato da una morale finale ricercata a tutti i costi, a scapito della godibilità complessiva.