Chi ha visto The Social Network, il film del 2010 che ripercorre le alterne vicende di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, riconoscerà in Steve Jobs la firma di Aaron Sorkin, sceneggiatore di entrambe le pellicole. È lui a gestire il materiale drammatico, costruendo una storia in tre atti (come una tragedia shakespeariana) che unisce ritmo ed emozione, satira sociale e dialoghi serrati, in una cornice visiva orchestrata con maestria dal regista Danny Boyle.
Le tre parti in cui è diviso il film corrispondono ad altrettanti prodotti lanciati sul mercato da Jobs, fondatore della Apple Computer: Apple Macintosh nel 1984, NeXT computer nel 1988, iMac nel 1998. Come già accadeva in The Social Network, la mente brillante del protagonista e la sua completa dedizione al lavoro si accompagnano a una problematica, se non disastrosa, vita privata.
Steve (Michael Fassbender) sta per lanciare Apple Macintosh quando si trova a dover gestire le richieste dell’ex compagna Chrisann (Katherine Waterston), che compare con la piccola Lisa. Pur rifiutando inizialmente di riconoscerla come sua figlia, Jobs non resta immune alla spontanea tenerezza e intelligenza della bambina, che diventa una presenza costante nella storia, spettatrice critica ma alla fine succube del suo fascino. Se Chrisann non è certo la partner ideale, esiste però una donna al centro della vita di Jobs: si tratta di Joanna Hoffman (Kate Winslet), il suo braccio destro, l’unica in grado di tenere testa ai cambi d’umore e alle pretese (non sempre ragionevoli) del suo capo, di cui rappresenta la voce della coscienza. È lei che ogni volta lo costringe ad affrontare il rapporto con Lisa, simbolo di quel mondo di affetti e di rapporti umani a cui si rischia di rinunciare nella corsa verso il successo.
Joanna porta nel film il calore, la comprensione, l’empatia che in lei si uniscono a un’efficienza perfetta, come per dimostrare che si può lavorare bene senza dover per forza sacrificare i sentimenti. Jobs, invece, è intrappolato nella rete informatica dei suoi prodotti e in quella reale dei cunicoli dell’auditorium dove avvengono le presentazioni, incapace di esprimere le proprie emozioni (e forse anche di riconoscerle), concentrato sul lancio di prodotti eleganti e all’avanguardia.
Un convincente Michael Fassbender riesce a farci amare e odiare quest’uomo in ugual misura, aiutato dalla backstory dell’adozione – la chiave della sua determinazione così come della sua infelicità. La storia di Jobs non è soltanto quella di una scalata al successo. Licenziato dalla stessa Apple perché ritenuto improduttivo e difficile da gestire, Steve non si arrese, fondò un’altra azienda, navigò in cattive acque, ma fu abbastanza furbo da costringere la sua ex società ad avere bisogno di lui, e rientrò a testa alta. E diventò miliardario, rivoluzionando il nostro modo di usare il computer, di telefonare, di ascoltare la musica e di fare film.
Difficile dire se il protagonista rispecchi il vero Steve Jobs. Di certo, a noi resta il ritratto vivido di un uomo geniale e difficile che si fa strada in un mondo spietato, in cui chi ha successo si muove come su una scacchiera, concentrato sull’obiettivo a costo di sacrificare tutto il resto (compresi gli affetti e i principi morali). Ed è un artista, Jobs, che rinuncia a piacere a tutti per affermare la propria personalità, non senza sofferenza, non senza dramma, ma indubbiamente capace di lasciare il segno.