Avete in mente la mattina, appena prima del primo caffè, mentre la vostra dolce metà ha ormai intrapreso il tutt’altro che breve elenco – anzi, è già così completo e dettagliato da farvi sentire sopraffatti da una stanchezza ferale e serale – delle cose da fare (pagamenti postali, ritiro esami clinici ospedalieri, oneroso prelievo bancario, passaggio in panetteria…), con i figli che mestamente finiscono gli ultimi sorsi di caffelatte, pronti a scroccare, dopo scontate, reiterate e supplichevoli richieste, un passaggio in auto fino a scuola? Un impatto di tali proporzioni, rischierebbe di far perdere lucidità anche al miglior Gordon Gekko, lo spietato e implacabile manager di Wall Street, interpretato da Michael Douglas nel famoso film di Oliver Stone. E se allora, sfogliando distrattamente un qualsiasi sito di news, doveste incappare in un titolo del tipo “Alfano vince e Salvini perde da protagonista”, a quel punto sobbalzare sulla sedia sarebbe il minimo! Ma com’è possibile – a pochi giorni dalle elezioni amministrative del 5 giugno – che un partito come Ncd (Nulla Contiamo Davvero) riesca a mettere sotto nelle preferenze un partito come la Lega Nord, capace, a volte in modo sgangherato (eufemismo!), di intercettare la “pancia” del Paese, specie quello che sta sopra il Po?
Basta approfondire, o meglio, scorrere la notizia di poche righe per rendersi conto che in realtà il verdetto di cui si parla non è politico, ma sportivo, segnatamente pugilistico. Eh sì, l’Alfano che le suona al Salvini non è fantapolitica, ma boxe, campionato italiano dei pesi gallo. Tant’è vero che l’Alfano in questione di nome non fa Angelino (vezzeggiativo poco adatto a un boxeur) ma Mario, anzi “Super-Mario”, mentre il Salvini si chiama Emiliano, è nato a Roma, e non ha alcuna parentela con il milanese Matteo, leader dei Lumbàrd. A ogni modo, come avrete capito, siamo in piena bagarre elettorale.
Per carità, non fraintendeteci. Nessuno vuole affermare che il voto amministrativo si sia trasformato in un ring dove i candidati se le danno di santa ragione, seppur a colpi di slogan e di programmi. Anzi, forse è il contrario. La politica – e qui parliamo, ovviamente, della politica con la P maiuscola, “la forma più alta di carità”, impegno, ideali, capacità di mettersi al servizio del bene comune – ultimamente sembra essersi trasformata nella “più alta forma di ilarità”.
È notizia di questi giorni che a Milano il candidato del Pd, Carlo Monguzzi, ha deciso, come unica iniziativa elettorale, di “farsi prendere in giro” da cinque comici, allestendo in un teatro cittadino una serata di impegno civico, ma tutta da ridere. E che la politica si stia trasformando in una sorta di “Bagaglino” a sfondo elettorale è ormai sotto gli occhi di tutti. Pensateci bene: il più longevo statista italiano dopo Alcide De Gasperi è stato il più grande uomo di avanspettacolo che abbia mai avuto l’Italia dopo Walter Chiari e Carlo Dapporto, un signore che alla soglia degli 80 anni ancora non si rassegna all’idea del prossimo spegnimento delle (sue) luci della ribalta politica (verrebbe da dirgli: Forza, taglia!): d’altronde, il copione è sempre lo stesso, le battute ormai si conoscono a memoria e la capacità di recitazione tende al manieristico. E l’attuale leader dell’opposizione, il bloggatore pentastellato Beppe Grillo? È (era?) un comico lanciato nel mondo dello spettacolo, lustri e lustri fa, nientepopodimeno che da Pippo Baudo. Come se non bastasse, anche l’attuale premier è persona che non disdegna affatto le battute (anzi, ci gigioneggia pure sopra), nella migliore tradizione dei comici fiorentini, da Leonardo Pieraccioni a Giorgio Panariello e Massimo Ceccherini, senza voler scomodare il grande Roberto Benigni.
E chissà, sempre a proposito di Matteo Renzi, se voleva essere una battuta l’affermazione pronunciata al cospetto di Bruno Vespa nel suo “Porta a porta”, a proposito della protesta della Chiesa dopo l’approvazione della legge Cirinnà sulle unioni civili: “Non ho giurato sul Vangelo, ma sulla Costituzione”. A quel punto, come sul palco di Zelig, politici e non hanno dato vita al consueto teatrino di dichiarazioni, rilanciando lo stesso refrain renziano ciascuno a proprio modo. Qualche esempio?
Improntato a quella modestia che tutti gli hanno sempre riconosciuto, Silvio Berlusconi ha incalzato Renzi con un “Non ho giurato sul Vangelo, perché anch’io ho dato una grossa mano a scriverlo”. Più dimesso e realista il sempre più defilato Antonio Di Pietro (“Non ho giurato sul Vangelo, perché non capisco l’aramaico che c’azzecca”). Non si è certo tirato indietro, e l’ha fatto dal suo seguitissimo blog, Beppe Grillo: perentorio come sempre il suo proclama “Non ho giurato sul Vangelo, perché è il web che mi deve dire su cosa giurare o no”. Pragmatica, ma francamente non di elevato profilo, l’affermazione di Renato Brunetta: “Non ho giurato sul Vangelo, perché il leggìo era troppo alto”. Scontato oltre il dovuto, Matteo Salvini non si è spostato di un millimetro dalle posizioni che tanto riscuotono successo presso il popolo leghista: “Non ho giurato sul Vangelo, perché i suoi autori sono tutti extracomunitari”. Giustizialista fino al midollo, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, non l’ha certo mandata a dire, ribadendo la sua idea di giustizia esemplare: “Non ho giurato sul Vangelo, perché lì alla fine ne hanno condannato uno solo”.
Infine, mettendo un po’ il naso fuori dall’ambito della politica, non possiamo non porre in evidenza l’inquietante e sincopato dubbio che Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, pone ai suoi fans: “Non ho giurato sul Vangelo / bisogna far cadere il velo / il velo dell’ipocrisia / di chi ha troppi così sia. Non ho giurato sul Vangelo / e ci è mancato davvero un pelo / ma la domanda io non la celo: / spiegatemi un po’ cos’è ‘sto Vangelo?”. Compito assai arduo anche per chi “pensa positivo”. Chi, allora, gli schiarirà le idee? Il buon Matteo Renzi, che la questione ha sollevato per primo, con una battuta delle sue? Sì, per noi sarà così, c’è da giurarci…