Samuel è un ragazzo spensierato, istintivo e bonariamente irresponsabile. Lavora nel sud della Francia, in un locale sulla spiaggia, vivendo al ritmo della musica, tra relazioni occasionali e ramanzine della proprietaria. Una mattina si presenta davanti a lui Kristin, “un’avventura” trascurabile del suo recente passato, che fatica persino a ricordare. Dopo brevi convenevoli, Kristin lascia nelle braccia di lui una bambina, dicendogli che si tratta di sua figlia, per poi fuggire senza lasciare traccia di sé. Samuel si imbarca immediatamente su di un volo diretto a Londra nel tentativo disperato di rintracciare la madre. Gli eventi lo porteranno a prendersi carico della bambina, senza la voglia né la competenza per farlo, per otto lunghi anni, con sorprendenti risultati, fino a quando comparirà nuovamente davanti alla sua porta la madre, stravolgendo ancora una volta la sua vita.
Siamo alle solite. Così come il cinema a corto di idee propone sequel a ritmo incessante, così un cinema a corto di personaggi propone ricette precotte che somigliano all’originale. La vivacità espressiva di Omar Sy non si discute: forte di una fisicità imponente, di un sorriso strabordante e di una mimica ammaliante, l’attore ha conquistato notorietà con Quasi amici, film che conciliava con equilibrio commedia, buoni sentimenti e dramma, raccontando la storia di un improbabile rapporto tra un intrattabile uomo in carrozzina e il suo ingenuo “badante” per caso. Famiglia all’improvviso replica, come dire, il format. Omar Sy fa Omar Sy. Quel misto di follia e responsabilità applicati, in questo caso, al mestiere del genitore. Le dinamiche narrative sembrano seguire il copione.
“Compreresti un’auto usata da quest’uomo?”. Certamente no, come non affideresti un bambino a un uomo perso nell’imprevedibilità di una tarda adolescenza senza responsabilità. Ma gli eventi lo faranno padre per sbaglio o per necessità. Così come lo porteranno a incrociare il dramma che porta diritto alla morale rassicurante, scodellata puntuale al momento giusto, come fossimo in un film della Disney o, ancora peggio, in una fiction televisiva. Negli occhi profondi di Omar Sy si colgono le ben poche sfumature dei personaggi, che servono alla trama per adempiere a una missione preconfezionata vocata all’intrattenimento facile.
Un film che nasconde molto bene qualunque ambizione artistica, affidando a ruoli bidimensionali e stereotipati la ricchezza potenziale di una storia che poteva raccontare molto di più. Ma i dialoghi stessi, oltre alla narrazione, sono prodotto d’ingegneria popolare, che rasentano il loro culmine nel processo assurdo e “illegale” per l’affidamento della piccola Gloria, oltre che nel finale didascalico a prova di rimbambito.
Siamo nella galassia dell’ovvio travestito da bizzarro, nella valle dei sorrisi regalati e delle lacrime comandate, nel manuale dei problemi facilitati e delle soluzioni a buon mercato. Per il cinema francese un chiaro segno di modestia che forse potrà comunque godere di convincenti soddisfazioni commerciali (come si evince dalle trionfanti affermazioni pubblicitarie: “Il film campione d’incassi che sta emozionando e divertendo il mondo”). Ma che stride fortemente con la parola Cinema.