Il presidente del Borgorosso Football Club non è un filmone, ma Albertone Sordi è l’attore giusto per questa pellicola del 1970. Manca il suo sceneggiatore di fiducia, Rodolfo Sonego, e si sente, sia nei dialoghi (un po’ banali) che nella sceneggiatura, molto sfilacciata e un po’ inconcludente. La storia è molto semplice, Benito Fornaciari (Albertone) eredita alla morte del padre la ditta e la squadra di calcio del Borgorosso F.C. È da trent’anni che manca dal paese, ha lasciato la nativa Emilia Romagna e lavora come segretario di un monsignore in Vaticano.
È un uomo morigerato e pio che arrivando in paese pensa di disfarsi della squadra. Di colpo invece si appassiona al calcio, e qui notiamo un buco di sceneggiatura, e inizia a spandere e spendere. Assume un tecnico argentino, caricatura del mago Helenio Herrera, compra raggirato dei brocchi venduti per campioni, acquista una Maserati cabrio e un pullman nuovo di zecca per la squadra. La porta in ritiro e diventa uno sciupafemmine con le mogli dei calciatori.
Tutto il paese impazzisce per lui e la squadra, ma i risultati non vengono. Albertone esonera il mago argentino e si siede in panchina. Risale la china a suon di vittorie, ma nella partita decisiva istiga i tifosi che invadono il campo. La squadra viene penalizzata e nel frattempo i soldi finiscono: gli viene pignorata la villa e la ditta, ma con un colpo da maestro, durante l’assemblea dei soci e tifosi che cercano di esautorarlo, si presenta con Omar Sivori. I tifosi vanno in tripudio con un carosello per le vie del paese.
I passaggi sono molto sfilacciati, basta pensare al finale, ma Albertone è un grande interprete, anticipa con la sua caratterizzazione l’idea di padre-padrone-allenatore alla Berlusconi, prende in giro i presidenti incompetenti e i procuratori affaristi. Esilarante anche se non nuova la gag in cui dalla finestra arringa come il Duce i tifosi inferociti. Oppure quella precedente quando vestito da donna cerca di sfuggire alla folla indiavolata. Grande il suo dualismo, da segretario riservato a presidente da bar, due visi, due modalità completamente diverse di interpretazione.
Il film esalta i lati surreali del mondo calcistico, come ad esempio la scaramanzia nella scena della squadra dagli zingari, situazioni vere, basti pensare ai “maghi” a cui si rivolgevano Nils Liedholm e Massimo Moratti. E poi i tifosi. Sono parte integrante della storia: esultano, urlano, sono esasperati, ma seguono la squadra in capo al mondo e partecipano alle gioie e ai dolori di essa. Con tanto di parroco in testa.
Pallone e squadra come unità di paese. E questa non è un’esagerazione, penso a quando la squadra di seconda categoria del mio paese, promossa matematicamente in prima categoria, e in vantaggio sugli avversari nell’ultima partita, venne penalizzata di sei punti perché i tifosi di casa entrarono in campo e picchiarono alcuni giocatori. Tutto il mondo è paese, anche se poi nel settembre successivo i due capipopolo della tifoseria furono premiati con tanto di targa come miglior tifosi.
L’idea di portare in squadra El Cabezon Sivori non era male, ma di fatto El Campeon, che si era appena ritirato dal calcio giocato, è poco sfruttato, una comparsata e via. Senza Albertone il film sarebbe naufragato, invece è un film cult sul calcio: ancor oggi viene utilizzato non solo nel calcio lo slogan: Chi s’estranea dalla lotta, è un gran figlio di m……!!!!