Difficile non ritenere che uno dei temi più interessanti che può interrogare l’uomo sia quello riguardante ciò che è vero e ciò che è invece una menzogna. Come lavoro studio la comunicazione non verbale e quindi ho a che fare con le menzogne ogni giorno, con aziende che mi chiamano per verificare se i loro candidati manager mentono sul curriculum, oppure mi tocca andare in negoziati per capire dalle espressioni facciali se chi ho di fronte è disposto a cedere al mio cliente l’azienda per qualcosa in meno rispetto a quanto ha proposto. Ogni giorno quindi ho il difficile compito di separare le cose vere dalle bugie.
Per fortuna ci sono numerosi strumenti per comprendere cosa passa nella mente, in questo caso sulla faccia, delle persone, però il punto cruciale sulle bugie è più profondo ed è contenuto nello splendido film La migliore offerta del premio Oscar Giuseppe Tornatore. In questa raffinata pellicola si narra la vicenda del signor Oldman, che ha il volto dell’altro premio Oscar Geoffrey Rush. Oldman è il miglior antiquario d’Inghilterra ed è specializzato nella valutazione di capolavori unici e, soprattutto, nello svelare i falsi.
Quest’uomo così schivo e recalcitrante ad avere rapporti con gli altri uomini, che tocca solo attraverso un paio di guanti che porta sempre con sé, si troverà catapultato in una relazione con una misteriosa ragazza. La giovane in questione è la signorina Sylvia Hoeks che lo assume per fare un inventario di tutti i beni della sua enorme villa. Cosa che prima indispettisce e poi incuriosisce il grande Rush è che la ragazza non si mostra mai a lui in quanto agorafobica. Il vecchio antiquario allora si butterà a fondo per salvare la ragazza dalla sua malattia finendo per uscire dal guscio che si era creato in anni di sapiente distacco dal mondo.
In questa vicenda opere false si mischiano con capolavori, e, ancora, le bugie si intrecciano con scottanti verità. Non è mia intenzione svelare ulteriori elementi sulla trama perché non voglio privare nessuno di gustarsi questo capolavoro cinematografico. Rivelo solo che a un certo punto spunta fuori la chiave di lettura del film quando il protagonista afferma: “In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico”. In effetti Oldman scopre che ogni copia falsa di un’originale ha dentro immancabilmente la firma del falsario che non ha saputo non rendere la sua opera unica, anche solo con un colpo di pennello in più semplicemente.
Allo stesso modo nel mio lavoro ho scoperto che non esiste bugia che non abbia dentro un seme di verità. Chi dice di essere un grande leader, ad esempio, magari mente, ma spesso quando lo afferma si rivela che anche se sa che non lo è, ci tiene veramente a diventarlo. Tutto questo discorso spero che non porti il lettore di questo articolo a pensare che quindi è inutile tentare di dirimere la verità dalle bugie. Mi auguro piuttosto che la conclusione sia nel riconoscere che proprio lì dove la bugia si mescola alla verità e a desideri nascosti c’è qualcosa di estremamente prezioso. Il signor Oldman, ne sono certo, ha tratto più beneficio da certe apparenti bugie che non da tante false verità.