Tutta la vita davanti di Paolo Virzì è un film duro, tagliente, che non vuole concedersi a sdolcinati applausi e che ha il sapore agrodolce. La storia narrata è liberamente tratta dal libro “Il mondo deve sapere” di Michela Murgia e racconta la triste situazione di tanti giovani italiani attraverso le vicende di Marta. Si tratta di una giovane e bella ragazza che si laurea con lode in filosofia e che dopo aver visto il suo fidanzato che la lascia per andare a fare il ricercatore negli Stati Uniti si ritrova sola e senza soldi in cerca di un impiego. Non trovando nulla di attinente alla sua laurea nelle diverse riviste specializzate di filosofie e rassegne stampa si accontenta di lavorare come baby-sitter per la piccola Lara, figlia di Sonia, ragazza madre che ha quasi la sua età. La giovane filosofa resta comunque impregnata del suo amore per la filosofia e mentre sta con Lara le parla dei suoi amati filosofi raccontandole come storie della buona notte racconti di Platone come il mito della caverna.
Purtroppo non bastandole i soldi decide di farsi assumere nella stessa società, un call center, in cui lavora Sonia: la Multiple Italia. Così Marta si trova catapultata in un mondo fino a prima sconosciuto in cui lei e altre decine di ragazze devono vendere al telefono un costoso elettrodomestico, che tutti sanno non funzionare, a ignare casalinghe che vengono di fatto truffate grazie alle tecniche di marketing che vengono insegnate alle ragazze. Claudio e Daniela, rispettivamente interpretati da Massimo Ghini e Sabrina Ferilli, sono le due persone che mandano avanti l’azienda e che motivano le ragazze al loro cinico lavoro attraverso balletti coreografici prima del turno e incentivi pataccosi come il portachiavi dell’azienda per chi fisserà più appuntamenti.
Il lavoro delle ragazze si farà sempre più insostenibile e a incendiare lo scontro entrerà anche in scena Giorgio Sconforti, che ha il volto di Valerio Mastrandrea, il quale cercherà in tutti i modi di portare i diritti sindacali all’interno della società gestita come un lager.
Non voglio ora dilungarmi nel racconto della trama che lascio a coloro che vorranno gustarsi un buon film, preferisco invece sottolineare alcuni dei numerosi temi di valore sociale proposti dalla pellicola. La descrizione del mondo del lavoro di Virzì, anche se a tratti volutamente esagerato e quasi macchiettistico per strappare qualche risata, rimane per buona parte realistico descrivendo la situazione dei giovani laureati che vogliono entrarvi. Il primo aspetto trattato è il quasi inesistente peso della laurea e della famosa lode, visto che mentre Marta si trova con un lavoro di ripiego tutti i suoi colleghi di università che hanno abbandonato gli studi sono riusciti a trovare un posto grazie a conoscenze e raccomandazioni e sfruttando il fatto di avere paradossalmente iniziato a lavorare prima.
Il secondo grande tema è quello dello sfruttamento del lavoro da parte di manager che vivono nel lusso e che illudono giovani che diventeranno ricchi in poco tempo. A tal proposito è molto intensa la recitazione di Elio Germano che nel film interpreta uno dei tanti venditori che vanno nelle case a “piazzare” l’elettrodomestico. Il giovane venditore capirà che mentre lui truffava le anziane nelle case qualcun altro stava truffando lui.
L’elemento infine che porta più valore al film però è proprio la figura di Marta. Da una parte è realista e accetta di avere a che fare con un mondo del lavoro che è corrotto e falso, ma al tempo stesso non finisce nel baratro della banalità che si trova di fronte e cerca una via per tenere assieme il suo amore per la filosofia, la necessità del denaro per vivere e dei rapporti sinceri con chi ha attorno. La riposta alla domanda: “ce la fa?”, non e’ affidata a lei, ma alla piccola Lara. Ma per capirlo vi “tocca” guardare il film fino all’ultima battuta.